Non pensare al domani ha un costo

Nel tentativo di capire il malessere del Partito democratico, Fabrizio Barca, ministro della coesione territoriale nel governo Monti, in un documento del 2013, usò un termine che fece discutere e sorridere: catoblepismo. Ovvero la tendenza della sinistra, come quella dell’animale fantastico (catoblepa, una specie di toro) a guardare solo in basso. Con la testa appesantita da interessi e contraddizioni. L’analisi di Barca ebbe così successo che il suo autore decise di occuparsi d’altro. Lasciò la politica attiva. Il termine era stato coniato negli anni Sessanta da Raffaele Mattioli, capo della Banca Commerciale, per descrivere gli intrecci perversi dell’economia italiana, in particolare tra credito e industria. L’immagine conserva una sua attualità. E spiega bene la tendenza irresistibile, in politica e in economia, a vivere un eterno presente. A reclinare lo sguardo sulle logiche personali o di gruppo, disinteressandosi del futuro. Non solo della sinistra. Mdp non vota l’aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza) ma dice sì allo scostamento di bilancio che serve a neutralizzare l’aumento dell’Iva. Cioè è favorevole a quasi tutta la manovra alla quale si oppone rischiando di far cadere il governo. Il leader di Campo progressista, Giuliano Pisapia — che aveva trattato anche a nome di Mdp eventuali modifiche — si dissocia e ingaggia una polemica aperta con Massimo D’Alema.

I possibili votanti della fantomatica formazione che dovrebbe nascere a sinistra del Pd seguono perplessi. E forse qualcuno si domanda se l’animale evocato da Barca non abbia anche ingerito sostanze sospette. Gli scissionisti del Pd temono soprattutto la nuova legge elettorale che li penalizzerebbe oltremodo. L’impianto del cosiddetto Rosatellum (non si poteva chiamare in un altro modo?) tradisce la logica vendicativa della maggioranza renziana. Lo strappo sul Def è spiegato solo così, dal timore di una maggioranza alternativa sulla legge elettorale. Nessuno appare preoccupato dalla necessità di avere norme efficaci che, oltre a restituire agli elettori il potere di scegliere i propri rappresentanti, assicurino la governabilità. L’importante è pensare a se stessi, al proprio gruppo. Poi si vedrà. I candidati di Forza Italia al Sud temono di perdere il posto a tutto beneficio dei possibili alleati leghisti, più forti nei collegi del Nord. Le piccole formazioni, con in testa Ap, si giocano la sopravvivenza politica. Non c’è tempo per pensare ai destini del Paese. Meglio votare con i brandelli rimasti dopo le sentenze della Corte costituzionale che rischiare di scomparire con una legge elettorale più seria. Qualche ulteriore indizio è rintracciabile anche nel dibattito sulla prossima legge di bilancio. Quando le cose vanno un po’ meglio e c’è un’aria di ripresa, ecco che si torna a respirare a pieni polmoni. Naturale. Ma come se si fosse reduci da una lunga apnea della quale si dimenticano all’istante le cause.

Il sentiero stretto tra sostegno alla crescita e risanamento dei conti pubblici è percorso con abilità dal ministro dell’Economia Padoan. La manovra dovrebbe consentire di ridurre finalmente, dopo nove anni, il rapporto tra debito e prodotto interno lordo. Di poco però: dal 132 al 131,6 per cento. Forse ciò avviene, almeno sulla carta, sovrastimando l’andamento dell’inflazione e accentuando i risultati della lotta all’evasione fiscale, ma poco importa. È sempre stato così. Tra gli obiettivi principali — lavoro, contrasto alla povertà, stimolo agli investimenti — non si può dire che vi sia quello di dimostrare, dopo aver fallito per anni, che il Paese si impegna a indebitarsi di meno. Quello della riduzione del debito, almeno nel rapporto con la ricchezza prodotta, è sempre un obiettivo indiretto. E ciò autorizza comportamenti irresponsabili e disinvolti. Oggi il traguardo è meno arduo perché si cresce più del previsto grazie soprattutto alla congiuntura internazionale e all’aiuto sui tassi della Bce. Nella bozza di manovra, che ha un deficit maggiore grazie alla flessibilità concessa da Bruxelles, la riduzione delle spese è comunque inferiore all’aumento delle entrate. Il pareggio di bilancio è spostato al 2020 (quando miracolosamente secondo il Def il debito dovrebbe scendere al 123,9 per cento). I fondi destinati a favorire l’occupazione giovanile, di cui tutti parlano, sono irrisori. La principale preoccupazione delle forze politiche di maggioranza è quella di limitare i danni elettorali e possibilmente alimentare qualche spesa per catturare consensi. Il capo dello Stato non ha lo sguardo ripiegato su questi mesi di campagna elettorale. È giustamente preoccupato per il dopo voto. E non sarebbe una ingerenza se rivolgesse un appello alle forze politiche a impegnarsi a non promettere misure prive di reali coperture e a ridurre il debito. A tutela delle future generazioni.

CORRIERE.IT

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