Anna Frank, le vignette di Vauro e l’indignazione a intermittenza

Cosa distingue la satira da uno sfottò? Se esiste una linea di demarcazione, è molto sottile.

Vignette da Facebook

Quasi inesistente. O almeno funziona così in quella parte del mondo occidentale in cui commentatori ed opinionisti non si indignano ad intermittenza. Ma non in Italia, dove invece – come dice Filippo Facci – la “libertà di opinione dipende dall’opinione”.

Perché scandalizzarsi per lo sfottò (così è stato definito dagli stessi autori il fotomontaggio di Anna Frank con la maglia della Roma) dei tifosi laziali, mentre non si sollevano dubbi sulle vignette di Vauro Senesi o sulle copertine di Charlie Hebdo?

In questi giorni in ambienti laziali circola una immagine eloquente. L’autore ipotizza la reazione di un (ipocrita) commentatore medio italiano. Da una parte osserva la foto di Anna Frank romanista e vomita saette di condanna contro la tifoseria biancoceleste. Quando invece la stessa identica foto viene ipotizzata in una copertina di Charlie Hebdo, allora l’idea diventa geniale. Espressione artistica. Satira da difendere. Sempre e comunque.

Se ci pensate negli ultimi due anni il ritornello è stato sempre lo stesso. Quando sulla prima pagina del giornale parigino finì Maometto, provocando la reazione (orribile) dei musulmani, tutti si levarono ad estremi difensori della libertà di satira. Sebbene fosse chiaro l’intento dissacrante. Ma quando in copertina sono arrivate le vittime del terremoto di Amatrice, tutti i “Je suis Charlie” e i gessetti colorati sono finiti in soffitta. Anzi: nel cestino. In molti hanno definito irrispettose le vignette dei francesi perché ad essere offesi erano i “nostri” morti e non un Maometto qualsiasi. Ecco spiegato come in Italia la “libertà di opinione dipenda dall’opinione”.

E allora arriviamo a Vauro. Il noto vignettista nei giorni scorsi ha pubblicato un disegno che forse dovrebbero scandalizzare tanto quanto la foto di Anna Frank. Si vede una porta da calcio “della Lazio” sormontata dalla famosa scritta “Arbeit Macht Frei” dei campi di concentramento nazista. Ma nessuno ha protestato: questa è satira, lo sfottò laziale invece no. Così come gli stessi che ora si stracciano le vesti e rispolverano il diario della deportata al tempo stesso sono campioni di insulti e gaffe anti-ebraiche.

Sia chiaro: nessuno sta giustificando quanto fatto dagli ultras biancocelesti. Anzi. Il punto però non è questo: qui si parla dei commentatori, non dei disegnatori. Se si riconosce totale libertà espressiva, d’opinione e satirica, allora tutto è permesso. Non solo quello che ci piace (o che è fatto da chi ci sta simpatico). Sarebbe ora di dire basta all’indignazione ad intermittenza italiana.

IL GIORNALE

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