Renzi avanti senza gli ex: da Pisapia a Casini, così saremo sopra il 30%
«Bersani stia tranquillo, non ci si vede neanche dopo il voto». La reazione di un dirigente del Partito democratico la dice lunga sul deterioramento del clima con gli ex compagni di Articolo1-Mdp. Le parole dell’ex segretario dem in tv da Lucia Annunziata arrivano come un colpo di mannaia sulle speranze di un accordo di coalizione. E chiudono probabilmente la partita, nonostante il tentativo in zona Cesarini di Romano Prodi, gli appelli a ciclo continuo di Giuliano Pisapia e gli altri padri nobili in esilio pronti a tornare a brandire la bandiera, ormai logora, dell’unità a tutti i costi. Ma i renziani sono soddisfatti: «Bersani e gli altri non stanno più dicendo no a Renzi. Dicono di no a Fassino, a Prodi, a Veltroni, all’Ulivo, al centrosinistra. E questo rende enormemente più facile la chiamata che faremo in campagna elettorale al voto utile». Con una prospettiva, nei calcoli di queste ore del segretario dem: «Con un arco di forze che parte da Beatrice Lorenzin passa per Pier Ferdinando Casini e arriva fino a Pisapia, arriveremo a superare il 30 per cento dei voti. E saremo ancora il primo gruppo parlamentare». Secondo questi calcoli, tutti da verificare, Grillo non andrebbe oltre il 25 per cento: «E questo significherebbe che prenderebbe soltanto 10 collegi su 231».
La «linea D’Alema»
In verità, forse non ci sarebbe troppo da festeggiare in casa pd. E in effetti non tutti i dem, a parte la sinistra pd, sono entusiasti. Perché è concreto il rischio che la spaccatura elettorale produca un’emorragia di elettori e anche una minore competitività in molti collegi. Il niet bersaniano non può essere visto, dunque, come un successo. Ma tra i fattori da considerare c’è anche molto altro. C’è la soddisfazione, un po’ rancorosa, nel vedere confermata la misura incolmabile del crepaccio che divide i due campi. «Ha vinto la linea D’Alema», dicono i renziani, ricordando non tanto la «rottura sentimentale» evocata dal lider maximo in passato, quanto la più recente intervista al Corriere, nella quale parlava di «stupidità» a proposito dell’idea di introdurre le coalizioni nella legge elettorale e sentenziando, senza appello: «Mai alleati con il Pd».
Il voto utile
Tra i fattori c’è da considerare anche quella che viene giudicata una vittoria mediatica. Spiega Lorenzo Guerini: «Noi abbiamo fatto un’apertura vera e generosa. E loro rispondono chiudendosi in un recinto identitario che ha come unico obiettivo quello di porsi in alternativa al Pd. Spero che ci ripensino, anche perché dobbiamo ricordarci che i nostri avversari veri, di tutti noi, sono i 5 Stelle». Ma tutti in realtà, nel Pd a trazione renziana, escludono un ripensamento vero. E nessuno lo auspica, perché un accordo ora sarebbe considerato un’intesa strumentale, politicista, elettoralistica. A questo punto, a rottura fatta (anche se le liste si fanno a fine gennaio, il tempo per ripensarci ci sarebbe), molto meglio invocare il voto utile. Anche perché il Pd è convinto di essere riuscito a mettere in piedi, se non proprio una formidabile macchina da guerra (del resto il riferimento ad Achille Occhetto non porta granché fortuna), almeno una serie di plotoni, divisioni e reggimenti in grado di combattere la battaglia delle urne. Fassino sta lavorando sul fianco sinistra, mentre Guerini è il messaggero per il centro.
I Radicali italiani
A sinistra c’è il Campo progressista di Giuliano Pisapia: si vedrà se insieme all’area laica, liberale e radicale di Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova e Emma Bonino (che auspica una convergenza e una lista dal nome «Più Europa»). Al centro c’è una serie di gruppi, a dir la verità non troppo omogenei, che potrebbe vedere uniti l’Ap di Angelino Alfano (il 24 novembre si deciderà la linea), i cattolici di Pier Ferdinando Casini, la Democrazia Solidale di Lorenzo Dellai, più i moderati di Giacomo Portas e qualche eletto dell’area della Comunità di Sant’Egidio. Basterà? Si vedrà, ma in ogni caso, spiegano i renziani, «non sarà quel tre o quattro per cento che raccatteranno Mdp e Sinistra a farci comodo dopo le elezioni. Anche perché, se pure Bersani volesse tornare all’ovile, dovrebbe abbandonare al suo destino uno come Nicola Fratoianni, che si è scisso da Sel perché era troppo poco di sinistra. Sarebbe l’ennesima scissione dell’atomo».
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