Il patto col diavolo, l’America razzista
di VITTORIO ZUCCONI
In una piazza di Savannah, la storica e bella città della Georgia sull’Atlantico, si erge, da dieci anni, un monumento del quale il Presidente Donald Trump non deve avere mai sentito parlare: è il momento che commemora il contributo e il sacrifico dei Chasseurs-Volontaires de Saint-Domingue, i fucilieri volontari che nel 1779 parteciparono alla Rivoluzione Americana combattendo al fianco dei ribelli di George Washington contro le truppe coloniali inglesi.
Erano neri di pelle, africani di origine o di nascita, soggetti di una terra che allora era colonia francese e oggi è diventata Haiti, anche grazie a quella rivoluzione che i reduci dalla Guerra d’Indipendenza americana videro e imitarono. Provenivano da quella nazione che oggi il leader degli Stati Uniti d’America ha definito uno “shit hole”, un’espressione che l’Agenzia Ansa ha tradotto eufemisticamente in “cesso” ma che all’orecchio di qualsiasi americano suona molto, molto più volgare. Uno “shit hole” è un “buco del culo”. Nella più benevola delle traduzioni, un “merdaio”.
Un merdaio, secondo l’uomo che neppure si rende conto del ruolo di simbolo vivente e pontefice laico della “religione americana” che le sfortune della storia gli hanno assegnato, come è tutta l’Africa, continente fatto di 54 nazioni e di una vertiginosa varietà di etnie, di diversi colori di pelle, storia, cultura, religione, grado di sviluppo industriale, urbanizzazione, come un “merdaio” sono l’Honduras, la più povera della nazioni del Centro America o il Salvador, la più violenta, come sono tutte le terre dalle quali adulti, bambini, vecchi tentano di fuggire precisamente perchè sono “buchi del culo”. Nessuno fugge dalla Norvegia di oggi, la nazione che Trump ha citato come esempio di paese dal quale vorrebbe immigrati, forse perchè poche ore prima aveva incontrato la Presidente del Governo di Oslo Erna Olsberg e come tutti i bambini, o i più deboli di mente, anche lui tende a ricordare e a conservare l’impressione dell’ultima persona con la quale ha parlato, fino alla successiva che lo distrarrà.
Dopo avere notato che la Casa Bianca e i cortigiani, compresi quei generaloni che dovrebbero essere gli adulti nell’asilo infantile e contenere i capricci del bambinone, tacciono come marmittoni intimiditi quando il Boss ne spara una delle sue, non hanno smentito quelle sue espressioni, non ci sono commenti adeguati per un Capo dello Stato americano che considera “merdai” l’intera Africa e nazioni vicine e sventurate come Haiti.
La sola spiegazione che viene data dai suoi sostenitori in Parlamento e dai leccapiedi della Fox News Network è che queste cose sono dette per massaggiare “la base”, i caproni più razzisti e zotici fra i suoi elettori ancora aggrappati a lui ed è una spiegazione che ancora più terrorizzante della frase. Il suo e quello dei suoi supporter è puro, distillato razzismo, attizzato dal rancore e dall’ansia di vendetta contro quell’ “africano”, quell’usurpatore con la pelle nera che ossessiona questa base e Trump, intento a demolire ogni tesserina del Lego faticosamente costruita dal predecessore.
Ê disprezzo per chiunque non appartenga all’immaginaria tribù dei “bianchi puri”, formata in realtà da un mosaico di popoli fuggiti in America da altri “buchi del culo” del mondo, i ghetti della Polonia, dell’Ukraina, della Bielorussa, la miseria più divorante del Sud d’Europa, Italia inclusa, dalla Germania che gli antenati di Trump, quando ancora si chiamavano Drumpf lasciarono per mangiare, dall’Irlanda devastata dalla carestia delle patate.
Siamo oltre alla vergogna di un anziano signore che crede di vivere ancora in uno studio televisivo dove conta soltanto la capacità di raccogliere audience e marcare ratings, dunque ricorre ai trucchi dello “shock” per attirare pubblico. Siamo alla minaccia diretta al cuore di ciò che gli Stati Uniti d’America sono e decisero di diventare 240 anni or sono, anche con il sacrificio dei fucilieri haitiani.
Trump si sta rivelando il peggior amico che gli americani possano avere. Una minaccia diretta a ciò che il mondo ha sempre creduto fossero gli Usa, rischiando la vita pur di raggiungerli.
Quest’uomo che trabocca di odio per tutti coloro che non sono come lui, che sta ogni giorni ferendo l’immagine, il prestigio, l’onore di quella nazione che proclama di amare, non sapendo che cosa significhi diventare americani, essendo lui nato a New York già con il “cucchiaio d’argento in bocca”, milionario prima di imparare a camminare, è il migliore alleato di chi odia l’America.
Una parte dell’America ha firmato un patto con il diavolo quando lo ha eletto grazie alla bizzarria del sistema elettorale presidenziale. In cambio di un apparente favore fiscale che beneficerà principalmente chi non ne ha bisogno, ancora tutto da dimostrare, di una Borsa che contnua a gonfiarsi verso l’inevitabile scoppio, della retorica di una grandezza perduta che ha sempre significato soltanto il ritorno alla supremazia bianca, ha venduto la propria anima di “nazione di nazione”, di città sulla collina che richiama gli stanchi, gli affranti, i poveri, i perseguitati come recita il poema alla base della Statua della Libertà.
Poche ore dopo i suoi commenti sull’Africa, Haiti, il Centro America come “merdai” del mondo, Trump aveva registrato per la tv il messaggio di saluto e di commemorazione per la Festa di Martin Luther King, che sarà commemorato lunedì prossimo, in un orgasmo di ipocrisia che offende quella memoria che a parole vorrebbe onorare. King fu ucciso 50 anni or sono, nel 1968. Se il “trumpismo” dovesse infettare la nazione intera, sarebbe morto invano.
REP.IT