“Macché elezioni, il rischio è Berlino Costringe le banche a vendere Btp”
Roma – Andrea del Monaco, esperto di fondi Ue, lancia l’allarme austerità. Lo fa in una approfondita analisi nel suo libro: «Sud, Colonia tedesca, la questione meridionale oggi» pubblicato da Ediesse, casa editrice della Cgil.
Dottor del Monaco perché questo libro?
«Per svolgere una contabilità accurata sui soldi per il Sud: un intento “non gradito” alle classi dirigenti, come dice il Presidente della Svimez Giannola nel dialogo conclusivo del libro. Il primo capitolo è una vera narrazione del Masterplan per il Sud: uno strumento attraverso cui Renzi ha semplicemente allocato lì soldi già stanziati».
Lei ripercorre la storia dell’austerità dal 1992 fino al l’attuale versione del Patto di Stabilità. Quale effetto concreto ha avuto sull’economia italiana?
«Ha ridotto il potere di intervento dello Stato, tagliato gli investimenti pubblici e fatto arretrare l’Italia nella divisione internazionale del lavoro. Nel contempo l’alto tetto al debito privato al 133% del Pil ha consentito le esportazioni tedesche nel Sud dell’Ue».
Il voto del 4 marzo in Italia può davvero rappresentare un rischio per la tenuta dei conti pubblici e dell’edificio europeo?
«Il rischio è nelle richieste alle banche italiane: per addendum Bce di ottobre devono svendere i crediti deteriorati oppure accantonare liquidità per un valore equivalente (aumenti di capitale imposti agli azionisti). Per Berlino devono svendere i loro Btp e comprare Bund».
Che c’entra con i nostri conti?
«Se accettiamo tali richieste, lo spread esploderà di nuovo come nel 2011, e pagheremo tanti interessi sul debito anche qualora chiudessimo la metà degli ospedali pubblici».
Come esperto di fondi Ue quale bilancio «storico» fa di questo strumento?
«Condivido le Osservazioni della Commissione Europea del marzo 2014: manca una chiara strategia di sviluppo territoriale. La spesa dei fondi Ue e italiani nel Sud passa dai 25 miliardi del 2001 ai 13 miliardi del 2016. E spesso sostituiscono la spesa corrente».
Lei sostiene nel libro che il debito non è tutto uguale. Per quale motivo?
«Bruxelles non conta nel deficit i 60 miliardi erogati dall’Italia agli strumenti Salva-Stati: soldi che salvarono direttamente le banche greche-spagnole e indirettamente i loro creditori, le banche franco-tedesche. Al contrario conta nel deficit i 6 miliardi necessari per finire l’Alta Capacità Napoli-Bari-Lecce-Taranto».
Nel libro lei analizza l’intervento europeo che nel 2011 portò alle dimissioni di Berlusconi. Cosa accadde davvero in quella circostanza?
«Merkel e Sarkozy ci chiesero un contributo agli strumenti Salva-Stati pari alla nostra chiave di contribuzione alla Bcd. Al contrario noi volevamo contribuire in proporzione alla nostra bassa esposizione. Sulla Spagna francesi e tedeschi erano esposti per 200 miliardi, noi per 20. Il salvataggio indiretto delle loro banche avrebbero dovuto pagarlo loro».
Tecnicamente come è finita?
«Agli strumenti Salva-Stati demmo 3,9 miliardi nel 2010, 9 miliardi nel 2011, 29 miliardi nel 2012, 13 miliardi nel 2013. In sostanza Angela Merkel ottenne da Mario Monti ciò che voleva».
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