Condannati e imputati La corsa al seggio sicuro
La questione morale è ancora attuale? Un avviso di garanzia per reati gravi, un processo o, peggio, una condanna non definitiva, può influenzare le candidature a Camera e Senato?
Da 48 ore, la candidatura dell’ex governatore lombardo, Roberto Formigoni, è ufficiale. Correrà con Noi per l’Italia al Senato. Contro di lui, una condanna a 6 anni in primo grado per corruzione per 8 milioni di euro di «utilità». Vacanze nel lusso, ville e barche, da chi così si assicurava finanziamenti regionali. Il suo compagno di partito, Alessandro Colucci attende una sentenza di primo grado per rimborsopoli. Ventisette mila euro – secondo l’accusa – di cene a spese della Regione.
Avere il casellario giudiziario sporcato, non è un problema neanche per la Lega che ha appena confermato il seggio al fondatore Umberto Bossi. Nonostante due condanne in primo grado per truffa e appropriazione indebita. Anche in questo caso, il senatur è accusato di aver stornato fondi pubblici, ma per spese familiari.
Anche nel Pd, in Lombardia, i guai con la giustizia non hanno impedito a Franco D’Alfonso di candidarsi a Milano. L’ex assessore della giunta Pisapia, è indagato per corruzione. Intercettato solo lo scorso febbraio con uomini vicini alle cosche, chiedeva voti per le prossime regionali. Il fedele ex formigoniano, Paolo Alli, è invece passato nel Pd dopo essere stato rinviato a giudizio per tentato abuso. Imputati per falso in un processo appena avviato sono gli ex consiglieri regionali Sergio Berlato e Maria Carretta, entrambi candidati in Veneto per Fratelli d’Italia.
Non pochi i guai giudiziari che assillano le liste dei candidati a Sud. In Campania, non si può non partire da Luigi Cesaro, capolista in Senato e deputato uscente di Fi. Dieci giorni fa sono stati arrestati i fratelli Aniello e Raffaele, due imprenditori accusati di aver stretto un patto con il clan di camorra Polverino. Nella stessa inchiesta sono indagati Luigi, già condannato e poi assolto per rapporti con la Nuova camorra organizzata, e il figlio Armando, capogruppo di Fi Italia in Regione. L’accusa? Voto di scambio. Passando a sinistra, all’altra dinasty campana, troviamo Piero De Luca, per tutti De Luca jr, rampollo del presidentissimo Vincenzo. Ce l’ha fatta a entrare, da capolista, nel listino bloccato e sarà in corsa nel collegio di Salerno, feudo del papà, nonostante sia imputato per il crac dell’immobiliare Ifil. A processo e in corsa per i dem sono pure Nicola Marrazzo, (peculato nella Rimborsopoli in Campania), e Angelo D’Agostino, ex deputato di Scelta civica, rinviato a giudizio a Roma assieme ad altre 76 persone con l’accusa di aver partecipato a un giro di mazzette alla società di certificazione Axsoa.
In Calabria, Fi ripropone due nomi già noti alle cronache giudiziarie. Il primo è Mimmo Tallini, uomo di fiducia del sindaco di Catanzaro Sergio Abramo, con cui è coimputato nel processo “Multopoli”, per abuso d’ufficio. Stessa accusa da cui si sta difendendo in un altro processo, “Catanzaropoli”. Sempre al seguito di Berlusconi, è riuscito a strappare una candidatura nel collegio di Gioia Tauro anche Francesco Cannizzaro, assolto dall’accusa di voto di scambio nel processo “Ecosistema”. Il suo nome è spesso associato all’amico Antonio Caridi, senatore finito agli arresti con l’accusa di associazione mafiosa e considerato dalla Dda di Reggio Calabria il referente della cupola politico-mafiosa che opera sullo stretto. Nell’inchiesta, in cui Cannizzaro è stato solo indagato, sono allegate le intercettazioni tra il neo-candidato di Fi e Jimmy Giovanazzo, boss della Piana e considerato grande sponsor di Caridi. Alleato di coalizione, in quota Noi con l’Italia, è un altro dei principali imputati della Rimborsopoli calabrese: l’ex presidente del Consiglio regionale Luigi Fedele, arrestato nel 2015 e poi scarcerato.
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