Berlusconi: “Rischio democratico con nuove elezioni, anche il Pd si faccia carico del governo”

francesco bei
roma
 

Presidente Berlusconi, rispondendo all’appello di Mattarella, che ha chiesto di mettere al centro «l’interesse del Paese», lei ha detto che intende fare il possibile, «con la collaborazione di tutti» per uscire dallo stallo. In quel «tutti» chi intendeva, anche il Pd?

 «Intendo esattamente quello che ho detto. Gli italiani hanno deciso di dare una maggioranza al centro-destra, ma anche di non assegnare ad alcun partito o coalizione la forza di governare da sola. Ciò significa due cose: che il centro-destra ha il diritto ma soprattutto il dovere di guidare il prossimo governo, e che nessuno, fra chi ha ottenuto un consenso importante dagli elettori, può pensare di non farsi carico della necessità che il Paese sia governato. I problemi dei quali tutti abbiamo parlato in campagna elettorale, la povertà, la disoccupazione fra i giovani, le difficili condizioni del sud, il pericolo sicurezza, l’emergenza immigrazione sono urgenze drammatiche, non solo temi da campagna elettorale».

Salvini si rivolge, più che alle forze politiche in quanto tali, ai “singoli” parlamentari chiedendo di convergere sul suo nome. È un approccio realistico?

«Credo che in questa fase tocchi a Salvini scegliere la strada che ritiene più opportuna. Noi lo sosterremo lealmente. Certo, è evidente che se intere forze politiche dimostreranno disponibilità e responsabilità, si potrà andare verso una soluzione più stabile».

 

Forza Italia proverà a cercare delle convergenze o lascerà condurre le trattative al candidato premier della coalizione?

«Una cosa non esclude l’altra, ma sempre nello spirito di una collaborazione leale».

 

Se Salvini non dovesse trovare i voti, sarebbe legittimo tentare comunque di dare un governo al Paese prima di tornare al voto?

«Preferisco non prendere in considerazione ora questa ipotesi, perché le subordinate indeboliscono la principale, e comunque richiederebbero l’accordo di tutta la coalizione di centro-destra. Ma io credo che responsabilità significhi prendere atto del fatto che Salvini è il leader del partito più votato all’interno della coalizione più votata. Significa anche la consapevolezza del fatto che nuove elezioni sarebbero allo stesso tempo un pessimo segnale per la democrazia e una strada probabilmente non risolutiva. Meglio, molto meglio perdere qualche settimana per un buon governo, se possibile, che mesi in una nuova campagna elettorale».

 

Lei in campagna elettorale ha parlato spesso del rischio che avrebbe corso il Paese affidandosi ai grillini. Pensa sia possibile un governo Lega-M5S?

«Lo escludo nel modo più assoluto. Mi fido di Salvini sul piano della lealtà e su quello dell’intelligenza politica. Non vedo come una forza della nostra coalizione possa immaginare di collaborare al governo con i Cinque Stelle. Escludo che la Lega possa fare una scelta così in contrasto con i suoi stessi elettori».

 

Un mese fa lei disse che se non ci fosse stata una maggioranza chiara l’unica sarebbe stata «andare al voto con il governo Gentiloni, magari facendo una legge elettorale migliore». È ancora di questo avviso?

«Il fatto è che non vedo alcuna possibilità, con questi numeri parlamentari e con questa situazione nel Paese, di fare una legge elettorale migliore. Voglio essere ancora più esplicito: non considero migliore una legge elettorale che consegni il governo del Paese a una minoranza, qualunque essa sia. Il voto ha detto con chiarezza che oggi una maggioranza politica fra gli elettori non c’è. Non può essere la legge elettorale a crearla, a meno di non voler ancora aggravare il distacco fra i cittadini e la classe dirigente del Paese».

 

Quindi non sarebbe disponibile ad accettare un premio di maggioranza oppure il doppio turno?

«Ci sono due modelli, in Europa, nei quali si è conseguita la governabilità pur con numeri elettorali difficili. In Francia il presidente Macron – con un sistema maggioritario a doppio turno – è stato eletto pur essendo il candidato preferito da meno del 25% dei francesi andati al voto. In Germania la signora Merkel sta varando un governo costituito da forze politiche che alle elezioni hanno ottenuto il voto del 53% dei tedeschi. Nessuno dei due metodi è applicabile alla situazione italiana, ma fra i due considero quello tedesco certamente più coerente con la mia idea di democrazia».

 

Avete poi deciso se andare tutti insieme alle consultazioni?

«L’indicazione che vogliamo dare è univoca. Dipenderà dal presidente Mattarella decidere come dovranno avvenire gli incontri».

 

Intanto la prima cosa da risolvere sarà la questione delle presidenze di Camera e Senato. Forza Italia ne chiede una?

«Anche su questa materia il risultato elettorale non consente alcun automatismo. Le presidenze delle due Camere, soprattutto in una situazione complessa come questa, devono essere figure di alto profilo istituzionale e di garanzia per tutti. Non si può ridurre la questione a delle caselle da riempire nell’ambito di un equilibrio politico complessivo. Naturalmente Forza Italia è in grado di esprimere figure perfettamente adeguate a questi ruoli. Il tema non è porre noi una candidatura: il centro-destra dovrà fare una riflessione complessiva al proprio interno, e per proporre unitariamente una soluzione di alto livello».

 

Quale futuro per il centro-destra? Visti i risultati pensa anche lei, come Toti, che la strada del partito unico sia inevitabile?

«Il nostro futuro si chiama semplicemente Forza Italia. Il nostro è un grande partito liberale, quindi tutte le opinioni sono legittime. Però, proprio perché siamo una grande forza liberale, parte integrante della grande famiglia del Ppe, il nostro avvenire rimane ben distinto da quello dei leghisti che sono certo alleati leali, ma che hanno una storia diversa dalla nostra, un linguaggio diverso dal nostro, valori diversi dai nostri. Aggiungo che in questa campagna elettorale Forza Italia è stata fortemente penalizzata dalla non candidabilità del suo leader. Ma io continuo a pensare che – come in tutto il mondo – il futuro sarà dei liberali, dei cattolici, dei moderati».

LA STAMPA

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