Il sondaggio: governo M5S-Lega? Sì dal 37%. Di Maio vince come premier
Stiamo attraversando una fase di stallo post elettorale, peraltro ampiamente prevista, caratterizzata da tatticismi, veti incrociati, solenni dichiarazioni di indisponibilità ad alleanze, alternate a prove di accordo e timide aperture. In attesa di sapere se i leader delle tre minoranze emerse dal voto del 4 marzo daranno seguito all’appello al senso di responsabilità e all’esortazione a considerare gli interessi generali del Paese, espressi dal presidente della Repubblica, abbiamo voluto conoscere le opinioni degli italiani rispetto agli scenari prossimi venturi. Innanzitutto emerge una disponibilità «condizionata» a possibili intese, più o meno larghe: infatti, quasi 6 elettori su 10 vorrebbero un’alleanza solo con le forze disponibili a condividere il programma del proprio partito, il 21% preferirebbe rinunciare ad un’alleanza, rimanendo quindi all’opposizione, e solo il 14% opterebbe per le larghe intese, a sostegno di un governo di scopo. Tre quarti degli elettori pentastellati e dei leghisti e poco più della metà di quelli di Forza Italia auspicano che sia il programma della propria parte politica ad avere la meglio, il che significa assegnare ai potenziali alleati un ruolo gregario. Al contrario, due elettori del Pd su tre, ritengono opportuno stare all’opposizione.
Rispetto alla scorsa settimana aumenta il consenso per l’alleanza tra M5S e Lega, preferita dal 37% degli intervistati (+4%); a seguire quella tra M5S e Pd (18%, in calo del 3%) e, da ultimo, quella tra centrodestra e Pd, scelta solo dal 12% (-3%), mentre un elettore su tre non ha un’opinione in proposito. I leghisti sono più favorevoli all’alleanza con i 5 Stelle (59%) di quanto non lo siano gli elettori pentastellati (46%). I dem, dovendo scegliere, sono divisi tra coloro che sostengono un’intesa con i 5 Stelle (34%) o il centrodestra (14%) e quelli che preferirebbero un’alleanza 5 Stelle-Lega (22%) o si dichiarano indecisi (30%). Tra il leader della forza politica più votata (Di Maio) e quello del principale partito della coalizione vincente (Salvini), il 42% degli elettori ritiene che il presidente Mattarella dovrebbe dare l’incarico per verificare la possibilità di formare un nuovo governo al primo (preferito anche tra gli elettori del Pd), mentre il 28% opterebbe per il secondo e il 30% non si esprime. Rispetto alla scorsa settimana il vantaggio del leader 5 Stelle su quello leghista è salito di 6 punti, passando dall’8 al 14%. Da ultimo la durata del futuro governo: il 43% auspica un governo che possa durare per tutta la legislatura (+9% rispetto alla scorsa settimana), il 28% ritiene che si debba modificare la legge elettorale per poi votare (-8%) mentre l’11% vorrebbe ritornare quanto prima alle urne con il Rosatellum. Sono soprattutto gli elettori dei partiti vincenti ad auspicare un governo duraturo, anche se non manca una consistente minoranza che vorrebbe tornare al voto non appena approvata una nuova legge elettorale, sperando di poter aumentare il proprio consenso. Da queste elezioni emerge un Paese multipolare, frammentato. Basti pensare che il centrodestra, pur vincendo quest’anno, ha ottenuto 1,6 milioni di voti in meno del centrosinistra che perse sonoramente la sfida nel 2008 e il primo soggetto politico (M5S) ha avuto 1,5 milioni di voti in meno del Pd di Veltroni, sconfitto dieci anni fa. Dunque i cittadini faticano ad adattarsi ad uno scenario indeterminato come quello attuale.
La maggior parte degli elettori delle forze vincenti vorrebbe portare l’acqua al proprio mulino, escludendo a priori un futuro ruolo da comprimari; tra gli sconfitti prevale l’idea di stare fermi un turno, evitando compromessi. Francamente, cosa avremmo potuto aspettarci di diverso al termine di una campagna «proporzionalista», caratterizzata da un clima di «tutti contro tutti», alleati compresi? E che dire degli annunci palesemente destinati ad essere smentiti dai fatti? Dalle promesse che avrebbero dovuto fare i conti sia con la sostenibilità economica sia con gli inevitabili compromessi da realizzare nel caso di alleanze post elettorali, al nome dei candidati premier inseriti nel simbolo di alcuni partiti, al roboante impegno a non fare alleanze post elettorali, foss’anche davanti ad un notaio. Insomma una fake campaign, di cui ora si vedono le conseguenze. Infine, aver illuso in anni recenti i cittadini di poter votare direttamente la maggioranza di governo e il premier, nonché di poter conoscere la sera stessa delle elezioni chi governerà il Paese per l’intera legislatura, complica ulteriormente la situazione. In questo scenario, nel quale ciascuno vorrebbe presidiare il proprio perimetro, convincere gli elettori ad accettare maggioranze di larghe intese risulta un’impresa improba. Come pure saldare la frattura tra cittadini e politica che, alla luce di questi dati, appare sempre più profonda.
CORRIERE.IT