Primo scontro Salvini-Di Maio “Non dica: io premier o niente”

[AME. LAM. – I. LOMB.]
ROMA
 

Si sta molto complicando il rapporto tra i «vincitori» del 4 marzo. La prossima settimana Luigi Di Maio e Matteo Salvini si incontreranno per la prima volta in campo neutro, alla Camera o al Senato. Ma le telefonate tra i due continuano e la tensione aumenta perché il leader dei 5 Stelle sta puntando i piedi sulla presidenza del Consiglio. Vorrebbe essere lui a ricevere l’incarico pieno da premier dal capo dello Stato perché, sostiene, rappresenta «il primo partito con il 32%» mentre il capo leghista «solo il 17%», non certo tutto il centrodestra, ovvero il 37%.

 In più Di Maio non vuole saperne di Forza Italia. Dice Riccardo Fraccaro, un suo fedelissimo: «Aperti a tutti ma non riabiliteremo certo Berlusconi». Un metodo e un modo sbagliato di impostare la discussione per il Carroccio che invece vorrebbe ribaltarla. Capire prima che tipo di programma è possibile concordare, e poi parlare di nomi. Magari un terzo nome, che Salvini ormai evoca apertamente, respingendo i veti dei grillini sulla coalizione.

«Parto dal centrodestra – spiega Salvini – con loro abbiamo preso i voti. Non è il momento per preclusioni o capricci. Se si dice “fuori Forza Italia” non se ne fa niente e arrivederci. Se si dice “o io premier o niente” non è il modo giusto per partire. Altrimenti che discussione è? Io invece – ha ricordato a Porta a Porta – ho già fatto passi indietro per far partire il lavoro delle Camere, ma non è che possiamo fare passi indietro su passi indietro e gli altri nulla».

 

Di Maio invece insiste, afferma che gli italiani si sono espressi indicando il premier, «espressione della volontà popolare», dimenticando che né la legge elettorale né la Costituzione prevedono la figura del candidato presidente del Consiglio. Una giravolta un po’ contraddittoria per chi, per anni, ha fatto da paladino del sistema parlamentare che porta all’elezione del premier solo con la doppia fiducia di Camera e Senato. Altra contraddizione: dopo averlo legittimato come unico leader e interlocutore dell’intero centrodestra, ora Di Maio vuole retrocedere Salvini a candidato premier di un partito che «ha preso solo 17% dei voti degli italiani, mentre Fi ha ottenuto il 14% e Giorgia Meloni il 4%».

 

«Non mi impunto per una questione personale – sottolinea Di Maio – è una questione di credibilità della democrazia. È la volontà popolare quella che conta, altrimenti sarebbe un tradimento di questa volontà popolare. Se qualche leader politico ha intenzione di tornare al passato creando governi istituzionali, tecnici, di scopo o peggio ancora dei perdenti, lo dica subito davanti al popolo italiano».

 

Insomma, siamo al muro contro muro, ma potrebbe essere un contrasto solo apparente ed è possibile che si riproporrà lo stesso schema del’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Alla fine, rinunciando ad alcune candidature, l’accordo si è trovato e i grillini hanno votato Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia a Palazzo Madama. Anche per il governo potrebbe saltare fuori un terzo nome, in modo da supere l’impasse Di Maio-Salvini. Al momento, però, siamo alle classiche schermaglie, con Alfonso Bonafede che alza il tiro: «Non si può prescindere dalla presenza di Luigi Di Maio come candidato premier». Mentre Salvini non esclude nulla. In ogni caso, spiega, «deve essere un politico, di un governo politico: con i tecnici abbiamo già dato». Il leader leghista si impegnerà per dare al Paese un governo entro aprile. Pur sapendo che non tutto dipende da lui. «Non lavoro per andare a votare, ma sicuramente non mi fa paura. Io vado al governo se posso fare, escludo come unica cosa governi di grandi intese con tutti dentro. O riesco a fare il 90% di quello che ho promesso o meglio lasciare perdere». E fa un elenco che non è così distante da quello che vuole fare Di Maio.

LA STAMPA

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