Evasione fiscale punto debole di Lega e 5stelle

Stefano Lepri
 

Su come meglio abbassare le tasse, Lega e M5S in campagna elettorale sono apparsi distanti. Ma per altri versi quanto al fisco sono vicini. Entrambi intendono demolire parecchi strumenti esistenti per la lotta all’evasione. In altri momenti, le frasi pronunciate ieri da Padoan a un convegno della Guardia di Finanza sarebbero state classificate come retorica di rito da parte di chi occupa quella carica: occorre «respingere ogni tolleranza verso l’evasione fiscale» poiché «il rispetto delle regole aiuta ad accrescere la fiducia reciproca fra Stato e cittadini».

 No n così ora. Cinque Stelle e Lega concordano nel dichiarare indulgenza verso quella che chiamano «evasione di necessità». Il fenomeno certo esiste: sappiamo che se per magia tutti cominciassero a pagare per intero quanto dovuto, con le aliquote fiscali attuali molte piccole imprese chiuderebbero.

Se tuttavia si abbandona ogni tentativo di cambiare, il sistema Italia sarà sempre più frenato dalla concorrenza sleale che l’impresa truffaldina fa all’impresa efficiente; e non ci sarà spazio sufficiente per ridurre le aliquote a beneficio di ognuno.

 

Qui si vede il limite vero del populismo, che riassume in slogan rabbie disparate, senza cercare di capire come i divergenti interessi dei cittadini possano essere conciliati. Il giusto desiderio comune di pagare meno tasse non può essere soddisfatto se troppi vengono lasciati liberi di pagarne meno per conto proprio.

Con il concetto di «evasione di necessità» la Lega giustifica la proposta di un nuovo condono fiscale. Nella passata legislatura il M5S se ne indignava, adesso non è chiaro. Vengono ugualmente incontro all’evasione altre misure previste da Luigi Di Maio e soci.

 

Al quinto tra i 20 punti sintetici del programma grillino si legge: «Abolizione reale degli studi di settore, dello split payment, dello spesometro e di Equitalia». E subito dopo: «Inversione dell’onere della prova, il cittadino è onesto fino a prova contraria».

 

A parole suona bene. Ma, senza entrare nei dettagli, la cosiddetta inversione renderebbe difficilissimo combattere la pratica delle fatture false, strumento principale con il quale si evade l’Iva più che in ogni altro Paese europeo.

 

Gli «studi di settore», parametri di ricavi che commercianti e piccoli imprenditori non amano, spariranno comunque dal 2019, sostituiti da «indicatori sintetici di affidabilità». Studiati d’intesa con le categorie interessate, a partire dalla Confcommercio, premieranno chi si comporta meglio invece di punire chi non si conforma. La Lega boccia anche questi rifiutando «ogni forma di pagella».

 

Lo «split payment», in italiano scissione dei pagamenti, significa che le pubbliche amministrazioni quando comprano qualcosa non pagano l’Iva, la trattengono per versarla direttamente al fisco. Esteso per gradi, ha eliminato due miliardi di euro di evasione nel 2015 e nel 2016, un miliardo ancora nel 2017; nel bilancio 2018 dovrebbe fruttare altri 1,5 miliardi netti.

 

Il guaio è che a vendere beni o servizi allo Stato si finisce così in credito di imposta, e spesso il rimborso tarda. Sarebbe il caso di concentrarsi su questo grave inconveniente, piuttosto che buttare via tutto e trovarsi un buco grosso nel gettito. Anche la Lega vuole porre fine allo split payment, benché usi una formula meno chiara.

 

Insomma si rischia di danneggiare la maggioranza dei contribuenti per soddisfare una minoranza che strilla. Ma non era proprio per protestare contro questo andazzo che gli elettori hanno mutato le loro scelte in modo drastico?

LA STAMPA

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