Il Richelieu Giorgetti studia da premier “terzo”

Roma – «L’approvazione all’unanimità della proposta di legge volta a dare attuazione al principio del pareggio di bilancio, rappresenta un punto di equilibrio che testimonia il senso di responsabilità di tutte le forze politiche».

Nel 2012 il presidente della commissione Bilancio della Camera, Giancarlo Giorgetti, salutò così l’ok in prima lettura della modifica dell’articolo 81 della Costituzione. In seguito la Lega decise di sfilarsi, ma la dichiarazione è comunque rimasta negli archivi e oggi testimonia l’estrema abilità tattica del braccio destro di Matteo Salvini, vero regista delle strategie del Carroccio.

C’è sempre stato lui dietro la «mossa del cavallo» per l’elezione del presidente del Senato. O dietro gli approcci amichevoli tra la Lega e il Movimento 5 Stelle. Ancor prima del leader si era detto disponibile a studiare una rivisitazione del reddito di cittadinanza se utile alla formazione di un governo. Analogamente, è stato il primo a ribadire che l’unità del centrodestra non si può mettere in discussione e che «la Lega non tradirà Berlusconi», peritandosi tuttavia di mostrarsi disponibile a una revisione della legge sul conflitto di interesse, che dal 1994 a oggi è lo strumento che sinistra (ieri) e grillini (oggi) agitano in chiave antiberlusconiana.

Ecco perché quando dalla tribuna televisiva gestita da Lucia Annunziata s’è incaricato di affermare che «è giusto che tutti i protagonisti comincino a ragionare» su un nome terzo per la premiership perché «la figura non può essere pregiudiziale», molti protagonisti del Palazzo hanno iniziato a pensare a una potenziale autocandidatura. Niente di più errato: Giorgetti è un ingegno troppo vivo per consegnarsi al gioco dei «dieci piccoli indiani» o delle percentuali da 0 a 51 di Di Maio e Salvini. Questo non vuol dire che non possa essere adatto per Palazzo Chigi. È un esponente di primo piano della Lega, che così vedrebbe soddisfatte le proprie aspirazioni dopo aver rinunciato alla presidenza di una Camera. È alquanto autorevole sia per la formazione bocconiana sia perché non si è mai lanciato in invettive antieuropeiste limitandosi a una critica della moneta unica basata sui dati macroeconomici. Come detto, è stato sempre dialogante con i pentastellati ma, essendo un politico di lungo corso (è in Parlamento dal 1996), è rispettato anche dagli avversari. Tant’è che nel Pd non vi sarebbe ostilità pregiudiziale a un esecutivo del vicesegretario leghista.

Insomma, Giancarlo Giorgetti sarebbe adatto come «nome terzo» sia che si parli di governo politico come quello teorizzato da Salvini sia che si parli di «governo di tutti», circostanza assai più gradita a Forza Italia. E il «di tutti» non è un pleonasmo perché basterebbe chiamarlo «istituzionale» per far scattare istantaneamente il veto del Carroccio. Certo, le schermaglie di Di Maio, che non vuole allearsi con Forza Italia, lasciano per ora il quadro immutato. E, d’altronde, pure Giorgetti ha sempre affermato che in ultima istanza ci sono solo le elezioni. Ora la sua partita personale lo vede candidato presidente alla supercommissione della Camera, quella che dovrà occuparsi del Def. Palazzo Chigi? «Figurarsi, non mi conosce nessuno», s’è sempre schermito.

IL GIORNALE

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