Occhio, c’è aria di inciucio tra i Cinque stelle e il Pd
M aurizio Martina bussa e Luigi Di Maio risponde. La fase è quella delle prove tecniche di collaborazione ma è indubbio che Pd e M5s negli ultimi due giorni abbiano compiuto concreti passi di avvicinamento.
I due però camminano su un ponte sospeso sopra un burrone e in entrambi gli schieramenti sono molti quelli pronti a tagliare le corde che lo sorreggono per far precipitare un possibile accordo. A prevedere questo finale è leghista Giancarlo Giorgetti che scommette su «un governo di M5S con l’appoggio esterno del Pd».
Il primo passo lo ha fatto Di Maio con l’ ultimatum sulla prossima «chiusura di uno dei due forni» chiaramente rivolto a Matteo Salvini, ovvero il principale ostacolo ad una eventuale collaborazione ad un esecutivo targato M5s da parte del Pd.
Ma la mossa più esplicita è stata ieri quella del segretario reggente Martina, che ha lanciato tre punti programmatici per far ripartire il Paese, tre priorità facilmente sovrapponibili alle proposte dei Cinquestelle. Martina punta ad «allargare il reddito di inclusione per azzerare la povertà assoluta in tre anni e potenziare le azioni contro la povertà educativa». Poi ad introdurre «l’assegno universale per le famiglie con figli, la carta dei servizi per l’infanzia e nuovi strumenti di welfare a favore dell’occupazione femminile». Martina intende pure promuovere sul fronte del lavoro «il salario minimo legale» e ancora «tagliare il carico fiscale sul costo del lavoro a tempo indeterminato per favorire assunzioni stabili con priorità a donne e giovani». Martina invita a lasciare da parte i tatticismi e «gli scontri personali e di potere» garantendo: «noi pensiamo all’Italia». Ma anche dentro il partito invece molti sono convinti che Martina stesse pensando ai Cinquestelle. Un amo lanciato verso i grillini anche a seguito, osserva un alto dirigente dem, della forte pressione esercitata da Repubblica, che da giorni sollecita più o meno apertamente il Pd a lanciare un segnale di apertura a Di Maio. Eppure è proprio l’ipotesi di un Di Maio premier a rendere indigeribile l’idea di un accordo con i Cinquestelle, in particolare per i renziani, che giudicano la mossa di Martina «intempestiva». Ma se poi in seguito ad un suo fallimento Di Maio dovesse uscire di scena allora la strada verso il patto potrebbe appianarsi. Ed è qui che entrerebbe in scena il presidente della Camera, Roberto Fico. Potrebbe essere lui il jolly da tirare fuori al momento opportuno per chiudere la partita.
L’ipotesi di un Fico premier, che però è giudicata «irrealistica» dai Cinquestelle, potrebbe costituire la premessa per un governo M5s -Pd?
Ieri in effetti il presidente della Camera ha incassato l’apprezzamento di autorevolissimi esponenti dem per il suo intervento sulla riforma delle carceri. Fico ha sollecitato un’accelerazione del provvedimento chiedendo l’assegnazione dei decreti attuativi alla Commissione speciale. «Ho molto apprezzato l’appello del presidente della Camera perché credo che sia un provvedimento urgente – ha commentato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando -. Noi abbiamo lavorato per questa riforma che serve anche a far fronte al rischio di sovraffollamento delle carceri con la conseguente condanna da parte di Strasburgo». Identico apprezzamento è stato espresso dalla ministra per i rapporti con il Parlamento, Anna Finocchiaro.
E nel Pd c’è chi ha già suonato il de profundis per Di Maio, accusato pure di aver taroccato le promesse eletorali pubblicate sul blog. Andrea Romano in un editoriale per Democratica, scrive: «Nell’incertezza di un quadro che cambia più volte al giorno, sappiamo che Di Maio ha fallito».
IL GIORNALE