Trump rompe il G7: «Riammettiamo la Russia». Conte gli dà ragione |
Non ha avuto neanche bisogno di arrivare in Canada per destabilizzare il G7. Prima di salire sull’Air Force One Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti: «Penso che dovremmo riammettere la Russia». I leader degli altri Paesi l’hanno presa come una provocazione. Tutti tranne il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: «Sono d’accordo. La Russia dovrebbe rientrare nel G8: è nell’interesse di tutti». Più tardi il premier italiano sottoscriverà la posizione comune con gli altri tre Paesi europei, Francia, Regno Unito e Germania: «Nessuna apertura a Mosca». Dal Cremlino interviene Dmitry Peskov, portavoce di Vladimir Putin: non ci interessa, «la Russia si sta concentrando su altre formule».
La posizione italiana, comunque, resta a verbale ed è il segnale di un nuovo corso diplomatico che animerà il confronto soprattutto tra gli europei. Ma il protagonista della prima giornata è, ancora una volta, Donald Trump. Il leader della Casa Bianca ha fatto di tutto per minimizzare il vertice organizzato con tanto sforzo e misura da Trudeau. Intanto il leader americano è partito dalla Casa Bianca con un’ora di ritardo: circostanza del tutto eccezionale. Si è fermato 20 minuti a parlare di tutto con i cronisti: dalla possibile grazia postuma a Muhammad Alì alle condizioni di salute di Melania («È rimasta a casa, non può prendere l’aereo, ha subito un’operazione di quattro ore») pur sapendo che Emmanuel Macron lo aspettava per un faccia a faccia prima dell’inizio ufficiale dei lavori. Il bilaterale con il presidente francese previsto per la mattinata è stato poi recuperato nel primo pomeriggio.
Trump ha tirato fuori a freddo la questione del G7 allargato, senza che nessuno glielo avesse chiesto: «Io sono l’incubo peggiore per la Russia. Credo che in questo momento Putin stia pensando: “Magari avesse vinto Hillary Clinton”. Vedete tutti quello che sto facendo contro di loro. Detto questo, che ci piaccia o no, che sia o no politicamente corretto, noi abbiamo un pianeta da gestire. Il G7, che una volta era il G8, ha buttato fuori la Russia, Ma ora “loro” dovrebbero riammetterla, perché dovrebbe essere al tavolo dei negoziati». E con ciò Trump ha esaurito la sua riserva di disponibilità.
Ha chiuso, invece, in modo preventivo a un qualsiasi confronto multilaterale sui dazi commerciali (acciao e alluminio per ora) e sulle sanzioni a carico delle imprese che continueranno a concludere affari con l’Iran. Infine ha fatto sapere, prima ancora di sedersi con gli altri leader, che non avrebbe atteso la fine delle riunioni: alle 10.30 di stamattina volerà a Singapore, dove vedrà il dittatore nordcoreano Kim Jong-un.
A questo punto poco importa se il summit terminerà con un comunicato ufficiale oppure se non si riuscirà neanche a mettere insieme qualche frasetta generica condivisa anche dagli americani. Il tema, adesso, come ha riconosciuto pubblicamente il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, è salvare il senso stesso del G7. Vale a dire la sede dove i leader dei Paesi più industrializzati del mondo si confrontano, si spiegano e, soprattutto si autorappresentano come il nucleo guida dell’Occidente. Da quello che si è visto in questa prima giornata a Charlevoix, e che in qualche modo si era già capito al G7 di Taormina nel 2017, tutto ciò a Trump non interessa.
Il suo approccio contabile («Quanto vale? Quanto mi dai?») non ha bisogno delle ritualità politico-diplomatiche e neanche di una storia comune: «Ci dicono di continuo che abbiamo combattuto insieme in guerra. Poi ci trattano in modo iniquo. Il Canada impone tariffe del 300% sui nostri prodotti agricoli. L’Unione europea contrasta i nostri prodotti con barriere ingiuste. Tolgano tutte queste cose di mezzo e torneremo ad andare d’amore e d’accordo».
Oggi vedremo quale sarà la risposta degli «altri». Finora il più attivo è stato Macron. Il presidente francese, nei suoi numerosi bilaterali, ha sollecitato una posizione comune almeno sui dazi. Certo, Macron ha pubblicato su Twitter un video del faccia a faccia con Trump: «Il dialogo ancora e sempre». Ma la «relazione speciale» tra Emmanuel e Donald, vera o presunta che sia, sembra già consumata.
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