La lezione ignorata della Brexit

Negli anni precedenti la Brexit, grazie anche alle politiche di austerità intelligente del governo di David Cameron, la Gran Bretagna cresceva mezzo punto all’anno più dei Paesi dell’euro, il deficit dei conti pubblici fu dimezzato ed i conservatori stravinsero le elezioni del 2015. Poi, per mille motivi, una piccola maggioranza, degli elettori del Regno Unito scelse di uscire dall’Unione europea. Da allora la Gran Bretagna cresce meno dei Paesi dell’euro, nonostante la svalutazione della sterlina e una politica fiscale relativamente espansiva. Gli inglesi speravano in una uscita morbida acquisendo uno status «norvegese». Era una possibilità, ma non essendoci precedenti era difficile prevedere che cosa sarebbe successo. Ora lo vediamo: il primo ministro Theresa May non è in grado di ottenere un’uscita non traumatica. L’incertezza e i rischi di un’uscita «dura» stanno convincendo molte imprese a spostare sedi e i dipendenti dalla Gran Bretagna all’Unione europea, e una volta trasferite non vi torneranno. Un disastro per la Gran Bretagna, molto peggio del previsto.

Con una maggioranza altrettanto risicata, e per altrettanti mille buoni motivi, gli italiani hanno affidato il Paese a due partiti che giocano pericolosamente(«Lo dico, non lo dico, lo penso ma non lo dico, lo dico ma poi lo nego») con l’ idea di uscire dall’euro e di conseguenza dall’Unione europea.

Un gruppo di economisti vicino ai 5 Stelle, e in particolare Andrea Roventini, candidato del Movimento a ministro dell’economia, sono stati tenuti lontano dal governo. Roventini e i suoi colleghi sono critici verso l’unione monetaria, come persone ragionevoli possono esserlo, ma escludono chiaramente e coscientemente un’uscita unilaterale dell’Italia dall’euro. Al loro posto ecco arrivare alcuni economisti della Lega, il senatore Bagnai e l’onorevole Borghi, da anni aggressivamente favorevoli ad un’uscita immediata tramite l’introduzione di una moneta alternativa all’euro, i cosiddetti mini-Bot. A questi economisti si potrebbe aggiungere, portato dal ministro Savona, Antonio Guglielmi, un analista finanziario di Mediobanca, autore lo scorso anno di uno studio sui costi e i vantaggi della ridenominazione in Lire dei nostri titoli pubblici, uno studio che, già da solo, rischiava di scatenare una crisi sui mercati.

Gli investitori esteri che detengono un terzo del nostro debito (oltre 700 miliardi di euro) sono visibilmente preoccupati, come segnala l’instabilità del prezzo dei nostri titoli pubblici. L’eventuale nomina di persone come Borghi, Bagnai e Guglielmi segnalerebbe una posizione di fatto anti-euro del governo Conte. Gli investitori esteri comincerebbero a uscire dall’Italia, con il rischio di avviare una valanga di vendite. Il valore dei Btp rimborsati non più in euro ma in lire crollerebbe, portandosi via i risparmi degli italiani.

Come reagirebbe il governo? Per evitare un crollo finanziario dovrebbe obbligare banche e cittadini italiani a ricomprarsi gran parte di quei 700 miliardi di titoli detenuti all’estero. Questo è possibile: infatti, a fronte di quei 700 miliardi di Btp oggi all’estero ci sono altrettanti titoli esteri detenuti da italiani. Basterebbe «costringerli» a venderli e comprare Btp. Ma bisognerebbe introdurre controlli sui movimenti di capitali, cioè la proibizione per i residenti di detenere titoli esteri, e vincoli sul portafoglio delle banche come avvenne a Cipro e in Grecia nei momenti più bui della loro crisi.

L’altro motivo di preoccupazione sono i conti pubblici. Con l’ultima legge di Stabilità il precedente parlamento si era impegnato a raggiungere il pareggio di bilancio nel 2020 e così ridurre, seppur molto gradualmente, il rapporto fra debito pubblico e Pil dal 133 per cento quest’anno al 125. Il nuovo governo vuole portare il deficit al 3 per cento aumentando gli investimenti pubblici che sarebbero esclusi dal calcolo del deficit. A parte che ciò non è consentito dalle regole europee, ciò che conta per i mercati sono debito e crescita. A meno che non si pensi che varare un programma straordinario di investimenti pubblici (ma non stiamo per abbandonare la Tav?), che richiederebbero anni prima di partire, possa istantaneamente far aumentare la crescita, l’unico effetto immediato sarà di far aumentare il debito. Se poi aggiungiamo reddito di cittadinanza, abolizione della legge Fornero e flat tax, il deficit potrebbe essere anche maggiore. Un governo credibile che non minaccia uscite dall’euro potrebbe anche permettersi aumenti (intelligenti e mirati ) del deficit; nulla di male. Ma aumenti del deficit accompagnati dalla minaccia di ridenominare il debito in nuove lire o mini-Bot insieme sono una ricetta disastrosa.

Se ciò accadesse, piaccia o non piaccia le agenzie indipendenti che valutano l’affidabilità dei nostri titoli pubblici suonerebbero un campanello di allarme. I nostri titoli sono due soli gradini sopra il livello «non investment grade». Raggiungere quel livello avrebbe tre consequenze immediate. Primo, la Bce dovrebbe smettere di acquistare titoli italiani: subito, anche prima che finisca il programma di Quantitative Easing. Secondo, i titoli che la Bce ha acquistato in passato non potrebbero essere rinnovati quando scadono. Infine, e questa è la conseguenza più grave, i Btp che le banche italiane hanno depositato in Bce a garanzia della liquidità ricevuta dovrebbero essere riacquistati da quelle stesse banche. Solo la Banca d’Italia potrebbe essere autorizzata a scontarli con il meccanismo dell’Ela (Emergency liquidy assistance). Fu proprio l’attivazione dell’Ela a far precipitare la crisi greca.

Queste sono le regole. E questo, piaccia o non piaccia, il comportamento dei risparmiatori esteri cui in passato ci siamo rivolti per finanziare spesa in deficit. Nel medio/lungo periodo le regole si possono anche cambiare, come ripetono i ministri del nuovo governo illudendo gli italiani sulla rapidità di questo cambiamento. Ma le regole non cambieranno certo nel breve o medio periodo, mentre il rischio-debito è alle porte: si tratta di mesi non di anni. Se gli economisti del governo Conte vivono in una realtà alternativa, diversa dal mondo reale, i risparmiatori italiani ne pagheranno le conseguenze.

CORRIERE.IT

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