Matteo Salvini, parla Nando Pagnoncelli: “Ha vinto per quel Vangelo in piazza”

di Pietro Senaldi

Emozionali, per nulla razionali, volubili, tendenzialmente insoddisfatti e votati al cambiamento purchessia, ambivalenti e contraddittori, con la più marcata differenza in Europa tra realtà e percezione di essa, per lo più ignoranti (nel senso etimologico, spesso ignorano la realtà dei fenomeni, le cause e le conseguenze).

Vatti a fidare degli italiani E non provare a convincerli con i numeri, tantomeno con i fatti, perché «anche se il tempo delle ideologie è finito, le rendite di posizione sono un ricordo, le appartenenze politiche sono alquanto sfumate e il voto è mutevole come non mai», quando hanno una cosa in testa, gli elettori sono irremovibili e altamente conflittuali. «Accade un po’ come per le squadre di calcio quando viene fischiato un rigore», spiega Nando Pagnoncelli, il più autorevole sondaggista italiano, amministratore delegato di Ipsos. «È inutile chiedere a un tifoso un giudizio oggettivo per sapere se c’ era o no il fallo in area e nessuna moviola potrà mai fargli cambiare idea». Con un’ aggravante non da poco: mentre ai tempi di Dc e Pci, che pure interpretavano due visioni del mondo quasi opposte, «c’era un perimetro di valori condivisi e un rispetto istituzionale che permetteva a tutti, indipendentemente dagli steccati ideologici, di ritrovarsi dalla stessa parte su temi decisivi come il terrorismo o la crisi petrolifera, oggi neppure di fronte a una calamità naturale come il terremoto nel Paese la pensano tutti allo stesso modo; radicalizzazione e posizioni viscerali hanno la meglio sempre».

Cosa ne pensa dell’ exploit della Lega, che lei ha recentemente accreditato del 31% dei consensi, mentre solo quattro mesi fa era neppure al 18?
«Non mi stupisce, il governo gode sempre di sei-nove mesi di luna di miele. Poi solitamente il consenso cala e non si riprende più, a differenza che nel resto d’ Europa, dove a fine legislatura la maggioranza tende a risalire. L’ unica eccezione italiana è stata Gentiloni. Dopo la sconfitta referendaria del 4 dicembre la gente, che aveva votato per cambiare, si aspettava le elezioni, invece è arrivato lui, con una squadra molto simile a quella di Renzi: è partito bassissimo, con un gradimento al 35% e ha chiuso al 51».

Ma al Pd non è bastato…
«Perché, dopo sette anni con i Dem al governo, ha prevalso la voglia di cambiamento, perché il partito non ha investito Gentiloni della leadership e perché la ripresa economica disomogenea non si è tradotta in un consenso di massa».

A cosa era dovuto l’ apprezzamento di Gentiloni?
«Era apprezzato per il suo profilo istituzionale, un aspetto a cui molti italiani sono sensibili. Anche se non si direbbe, questa è una buona notizia per l’ attuale governo».

Affermazione sorprendente.
«No, perché la composizione mista di questo governo, con figure di rottura come Salvini e Di Maio e profili istituzionali come il ministro Tria e Moavero, o discreti come il premier Conte, intercetta perfettamente l’ ambivalenza dell’ elettorato, che cerca sia la rivoluzione che la sicurezza. L’ eterogeneità di questo governo non è vissuta come un problema dagli italiani, e se M5S e Lega riusciranno a dare un colpo al cerchio e uno alla botte, accontentando i rispettivi elettorati su alcuni punti, l’ esperimento potrebbe durare».

Salvini a Pontida ha detto che governeranno trent’ anni: è possibile?
«La politica, dall’ avvento di Berlusconi, si è fortemente personalizzata e l’ incidenza del leader è fortissima. Salvini è in grado di interpretare il disagio profondo di molti italiani e di toccare le corde emotive dell’ elettorato con messaggi semplici e forti, che sono i soli che hanno presa di questi tempi in cui le percezioni predominano sulla realtà e l’ opinione pubblica enfatizza l’ aspetto emotivo delle problematiche, trascurando quello razionale. Per mantenere il consenso sarà importante rispettare le promesse elettorali e il contratto di governo. Ma non è detto che, qualora le aspettative venissero disattese, il consenso sia destinato a calare rapidamente; può darsi che prevalgano gli aspetti identitari (il governo del cambiamento che si contrappone alla politica tradizionale) e la ricerca di alibi o “nemici esterni” a cui attribuire le responsabilità delle mancate promesse».

Si aspettava il successo della Lega il 4 marzo e il sorpasso su Berlusconi?
«La Lega è rimasta sotto Forza Italia per tutta la campagna elettorale, fino a una settimana prima del voto. Ma ben il 25% dell’ elettorato ha scelto chi votare proprio negli ultimi giorni, e il 10% addirittura nelle ultime 24 ore. E proprio la domenica prima delle elezioni, Salvini in Duomo ha fatto il colpo di scena della campagna elettorale, tirando fuori il rosario e il Vangelo: con quel gesto ha rassicurato i moderati che potevano fidarsi di lui. Se lei pensa che si vince scaldando i cuori e che la contromossa di Berlusconi è stata l’ annuncio dell’ investitura di Tajani a delfino, decisione peraltro già fatta filtrare prima tramite indiscrezioni per testarla, comprende che non poteva finire diversamente da come è andata».

Come mai Salvini non ha pagato dazio per aver tolto il Nord dal simbolo della Lega, malgrado la difesa del Settentrione fosse la ragione fondante del partito?
«Salvini ha trasferito le battaglie contro Roma a Bruxelles, mantenendo il medesimo schema, e a volte pure gli stessi temi. La svolta nazionale è stata un passaggio importantissimo, e riuscito».

E come mai gli elettori del Sud gli hanno perdonato i suoi cori contro i napoletani e l’ antimeridionalismo di Bossi?
«Perché il nostro elettorato ha una memoria selettiva, unita a una sorta di “rimozione della dissonanza cognitiva”: Salvini ha saputo parlare alle popolazioni del Sud e del Nord e queste, pur di tenere in vita il progetto, hanno inconsapevolmente giustificato ogni contraddizione. Ma ciò non è capitato solo alla Lega: accade a chiunque abbia il vento in poppa.
Se sei in grado di alimentare aspettative forti, cancelli il passato e puoi conquistare qualsiasi elettore».

La battaglia contro l’ Europa di Merkel, Juncker e Macron, sulla quale Salvini sta puntando molto anche in vista del voto europeo del 2019, è un tema che paga nell’ urna?
«C’ è molta ambivalenza nell’ elettorato: le ragioni motivazionali su cui nacque l’ Europa, nel dopoguerra, sono svanite, perché le persone considerano la pace come un risultato scontato. Ora prevale l’ idea di un’ Europa arcigna e tecnocratica, che ci limita in economia, e sull’ immigrazione la Ue è diventata divisiva. Però gli italiani hanno paura a lasciare sia l’ Unione sia l’ euro».

Il boom di M5S, in contemporanea con il tracollo del Pd, l’ ha sorpresa?
«Il calo dei Pd e l’ exploit dei Cinquestelle erano stati ampiamente previsti, anche se era stata sottovalutata la portata dei due fenomeni. Nell’ ultima settimana, i Dem sono rimasti immobili, mentre M5S ha presentato la propria squadra di governo, dove peraltro figurava anche Conte. La mossa è stata irrisa dagli avversari ma in realtà era vincente, perché colmava una lacuna, dando l’ impressione che Di Maio e i leader pentastellati ci credessero e cercassero seriamente di passare da forza d’ opposizione a forza di governo».

Cosa pensa delle raccolte di firme contro Salvini o delle sfilate in maglietta rossa per protestare contro il governo a cui abbiamo assistito in questi giorni?
«La partecipazione popolare è un indice di democrazia, il tema dei migranti fa appello ad aspetti etico-valoriali, non solo a quelli politici. Tuttavia difficilmente appelli e cortei spostano opinioni e insinuano dubbi in chi la pensa in modo opposto».

Lei sostiene che oggi gli italiani cambiano spesso idea, ma che cosa è in grado di modificare la loro opinione?
«In generale i mezzi di informazione, ma occorre fare molte distinzioni: i talk show, per esempio, vengono seguiti dal pubblico più interessato alla politica, che ha già un’ opinione sui diversi temi e nel dibattito trova argomenti che confermano i suoi convincimenti. Ne consegue che ciascun politico in tv in realtà parla solo al proprio pubblico, un po’ come su Facebook o Twitter. I social e internet non spostano troppo le opinioni, ci si confronta con chi la pensa allo stesso modo. Decisivi sono ancora i telegiornali, che però trattano la realtà in servizi di sessanta secondi, per immagini, senza approfondimenti, e talora rischiano di essere un’ arma a doppio taglio».

In che senso?
«Gli irregolari sono il 10% della popolazione immigrata presente nel nostro Paese, che nel complesso risulta per lo più integrata. Ma se i tg ogni giorno rilanciano le immagini dei profughi sulle zattere, essi forniscono agli italiani l’ immagine che l’ immigrazione è fuori controllo e non bastano mille dati in senso contrario a far cambiare loro idea. Tant’ è che, a fronte di un calo significativo degli sbarchi, è cresciuta la preoccupazione. Non per volontà di manipolazione ma perché ognuno si costruisce la propria realtà su misura».

Siamo un Paese spaventato?
«Rispetto a certe tematiche, come appunto l’ immigrazione o la globalizzazione, sì. Ma siamo anche un Paese poco istruito: il 57% dei maggiorenni ha raggiunto al massimo la licenza media. I tg continuano a dire che stiamo invecchiando, e in effetti siamo il secondo Paese più vecchio del mondo, però la gente è convinta che gli ultrasessantacinquenni siano il 48% della popolazione, mentre sono il 21%. Per non parlare della sicurezza: oggi c’ è la metà degli omicidi rispetto agli anni Novanta e in dodici mesi in tutta Italia vengono uccise la metà delle persone assassinate nello stesso periodo nella sola Chicago, che ha gli stessi abitanti di Roma, eppure siamo convinti di vivere in uno Stato e in un’ epoca violenti».

Se la realtà non conta, su cosa deve puntare un politico per farsi credere e votare?
«L’ opinione pubblica va maneggiata con grande cura. Il politico deve interpretare la richiesta di cambiamento con messaggi semplici e credibili, cercare di fare quello che promette e dare sempre l’ idea di prendersi cura delle persone. Pensi a Berlusconi. Dopo mille traversie, nel 2008 era riuscito a tornare in sella alla grande. Si ricorda il Silvio partigiano del 25 aprile a Onna, dopo il terremoto? Un consenso altissimo, che, contrariamente a quanto si crede, lo scandalo delle Olgettine e la lettera della moglie Veronica a Repubblica non avevano neppure scalfito. La svolta, l’ errore, è stato negare la crisi.
Quando ha detto che i ristoranti erano pieni e l’ Italia andava a gonfie vele, non ha risposto alle paure dei cittadini e ha perso consenso; e quando capita, in genere l’ emorragia è irreversibile. La lezione è che nessuno si può permettere di fare errori».

Nessuno però si può pure permettere di accontentare tutti.
«Questo è il punto. Gli italiani reclamano il cambiamento, ma è sempre il cambiamento degli altri, non il proprio. I giovani vogliono tagliare le pensioni, chi sta bene vuole tagliare le spese della sanità, i privati vogliono rottamare la pubblica amministrazione Così, non potendo accontentare tutti, i politici che fanno? Rincorrono l’ opinione pubblica, individuando un bersaglio, una categoria, e la attaccano a testa bassa coagulando attorno a sé il consenso di tutti gli altri. È una tecnica pericolosa e che non porta lontano. Si è smarrita la dimensione del futuro e dell’ interesse generale».

Ma si può mantenere consenso senza promettere la Luna e senza prendere in giro gli elettori?
«È capitato con la rivoluzione liberale di Berlusconi e con il sogno europeo di Prodi e Ciampi. Se riesci ad alimentare un’ aspettativa di cambiamento legata alla costruzione di un Paese diverso, puoi chiedere sacrifici. Altrimenti, sei destinato alla cosiddetta “alternanza all’ italiana”: noi siamo l’ unico tra i principali Paesi democratici in cui si sono succeduti governi diversi, di destra, di sinistra, di tecnici, di rottamatori, ma invariabilmente le maggioranze uscenti sono state sconfitte alle elezioni successive e nessun governo è riuscito a svolgere un secondo mandato».

LIBERO.IT

 

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