Enrico Mentana, il direttore riscrive il futuro: “La sfida finale tra Lega e M5s, cosa succederà presto in Italia”

di Francesco Specchia

Enrico Mentana ha pensieri e sintassi talmente veloci che temi sempre possano deragliare. Ma non accade quasi mai. Come in un romanzo di Kazuo Ishiguro, in questo momento un suo clone sta dirigendo il TgLa7 (share medio assai buono, 6,5%); un altro è afflosciato sul divano di casa davanti alla partita mentre la fidanzata gli fa un’ amatriciana, un terzo ottimizza il tempo con quest’ intervista (che interromperà a sua volta per un intervento radiofonico su tutt’ altri argomenti). Questo per dirvi, il tipo Caro direttore, l’ ultima notizia che ti riguarda è che avresti ritirato la tua adesione da un appello, sulla rivista Rolling Stone, di cantanti e conduttori tv contro Matteo Salvini.

Corrisponde al vero?
«L’ adesione contro Salvini non l’ ho mai data, le parole sono importanti. Se devo esprimere un’ opinione lo faccio in tv o via Facebook. Sono un direttore di telegiornale, via, petizioni di questo genere oltre che stupide sono controproducenti, a meno l’ oggetto non sia Hitler, ma non mi pare questo il caso. E, bada, io non ho mai lesinato critiche a Salvini».

Appunto. Non eri tu ad aver fatto un post di fuoco quando Salvini parlava di censimento dei Rom; non richiamasti addirittura la schedaura nazista degli ebrei?
«Sì. Ed era un modo per far capire al ministro degli Interni che queste cose, oltre a essere contro la legge, fanno pensare ad un tragico passato».

Però non sei sempre tu quello che ha detto “Matteo ha fatto un capolavoro politico, non sottovalutatelo”?
«Certo, ha vinto la sfida interna con Berlusconi. Ma non c’ entra con questa ossessione delle Ong. Per le quali, finora, latitano le prove che abbiano commesso reati».

Veramente si parlava per lo più di Ong con bandiere misteriose che, senza contattare le guardie costiere, vanno a prendere i migranti dalla acque libiche e li sbarcano da noi
«Dai, le Ong non è che vanno a prendere migranti per sport con la canna da pesca; vanno lì sulla base dei protocolli Sar. Detto ciò, Salvini è uno dei vincitori delle elezioni, non è un invasore. È figlio di un partito forte il cui ampio elettorato se la batte con quello dei 5 Stelle, e i suoi discorsi non si discostano da quelli fatti in campagna elettorale. Stupirsi per quel che ora dice è sbagliato».

Intendi che Salvini usi quel tono ruvidello da perenne campagna elettorale per una precisa strategia?
«Dico che i flussi migratori sono calati dell’ 80%. Beninteso, io capisco tutto, anche quelli che non sopportano gli immigrati. Ma allora, ti giro la domanda, perché Salvini non pensa alle priorità: stroncare il traffico della droga che ingrassa il fenomeno dei clandestini galoppini degli spacciatori? Quella sarebbe una battaglia culturale di cui s’ è persa traccia».

Ragioniamo in termini geopolitci più allargati. Per le prossime elezioni europee si delinea uno scenario di alleanza sovranista perorata da Salvini tra il gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), Lega, Kurz. Le Pen e il ministro bavarese Seehofer. Tu sei tra quelli che la guarda con simpatia o che non la capisce dato che i suddetti Paesi sono quelli che vorrebbero lasciare i migranti solo a noi?
«È ovvio che un’ alleanza tra sovranisti stoni come un coro di lupi, è una contraddizione: o sei sovranista o sei per un’ allenza internazionale. Ed è vero che se cominci a chiudere tutti i confini, dato che l’ emigrazione viene dal sud, i primi a rimetterci siamo noi. Ma nessuno può dire se “l’ unione delle patrie” sia un progetto di egemonia politica che possa funzionare o no».

E quindi, la soluzione?
«Non so, ma non puoi pensare che la tua misisone primaria sia espellere migranti a carrettate, anche perché non ce la fai. Ma è, in questo momento, un falso problema. Perché le cose che interessano la gente sono il lavoro e le tasse».

Ecco, appunto l’ economia. Il ministro Tria – alla faccia del rivoluzionario – mi pare un templare del bilancio. Promette riforme solo se con copertura, frena la foga di chi vuol fare la Legge di bilancio in deficit. Non è un pezzo del sistema tra due partiti antisistema?
«Tria è il custode dei conti pubblici, non sta alla cassa di un’ osteria dove oggi si paga e domani no. Un conto sono le campagne elettorali, un altro gli equilibri internazionali. E tieni conto che in questo momento ci sorregge il quantative easing, ma se pensiamo a manovre in deficit aumentiamo il nostro debito non la vedo bene per l’ acquisto dei nostri buoni del tesoro. In un momento in cui il Pil rallenta, operare in deficit non aumenta la crescita. Quindi sarà dura per Salvini e Di Maio puntare alla flat tax e al reddito di cittadinanza chiedendo più flessibilità. Ovvio che mi farebbe piacere pagare una tassa piatta, vedere l’ economia e il sud crescere. Ma».

Ti faccio notare che Tria sta creando tre task force per controllare fisco, welfare e finanziamenti pubblici. A parte il fisco qualcuno dice che sta commissariando Di Maio
«Io la vedo più come un ponte, un modo per consentire ai 5 Stelle di avere a che fare, con giudizio, con tutte le aree produttive del Paese. Questi sono entrati in Parlamento subito col 25% e in 5 anni sono arrivati al governo aggredendo perfino territori in cui da secoli regna il voto d’ opinione e di scambio. Questa è la loro occasione della vita».

Non sei un po’ troppo cauto nei giudizi?
«Ti ricordo che questi sono stati eletti il 4 marzo. È lecito aspettare che si organizzino.
Detto ciò, Di Maio è circospetto, s’ è preso un ministero dove si ragiona a più lunga gittata e con i soldi, e con dossier scottanti sul lavoro: rispetto a Salvini è un mezzofondista».

Condividi la presa di posizione di Salvini contro la Cassazione che, in partica, chiede di bloccare i soldi della Lega ovunque, o credi che sia un po’ un piangina?
«È evidente che ci sono delle sentenze da rispettare, che Salvini non possa appigliarsi a Mattarella, che quei 49 milioni della Lega c’ erano (mica c’ è la flat tax sulla restituzione di quei soldi). E che sono ancora viventi tutti protagonisti di quella faccenda come Bossi, Belsito, lo stesso Salvini. Qualcuno dovrà dire dove sono finiti i denari. Capisco che per la Lega sarebbe imbarazzante costituirsi parte civile con Bossi ancora senatore».

In tutto questo, che significato ha quasi il sacrale silenzio dell’ opposizione? È una strategia o sono ancora paralizzati dalla botta elettorale?
«Il fatto vero è che manca totalamente l’ opposizione sia di Forza Italia sia del Pd, sono fermi, intorcinati su loro stessi. E questo fa delineare all’ interno del governo sempre più due divisioni: Lega a destra e il M5S a sinistra. Il che significa che, nel caso saltasse tutto, la vera sfida futura sarà tra loro due e non ce ne sarà per nessuno».

Parliamo delle tue maratone elettorali. Dieci ore di fila e, a parte la ricerca affannosa di una doccia, non ho mai visto nel tuo sguardo una vena di stanchezza. Spiegami.
«È la passione».

Che c’ entra? Pure io ho la passione, ma se faccio come te mi ricoverano
«Ho la passione, e soprattutto non sono soggetto ad ansie.
Ma tieni conto che io le maratone di dieci ore le faccio, ma c’ è chi se le segue tutte, che è più difficile. Eppoi è divertente perché oramai sono un genere in cui sai perfettamente che registro usare: sai quando accendere, sedare, far riflettere, accelerare. E in questo contesto le figure possono diventare personaggi da commedia dell’ arte, che prescindono anche dal tema di discussione: alla maggior parte degli spettatori non fregava un cazzo delle Brexit, ma si sono sciroppati il modo in cui l’ abbiamo confezionata».

È vero che una volta il tuo editore Urbano Cairo tornando a casa di notte si aspettava una maratona sul dibattito Trump/Clinton sul TgLa7, ma tu non l’ avevi fatta; e lui ti ha chiamato, incazzato, nel cuore della notte e, da allora, non ti perdi una maratona?
«Veramente per me era inutile: per i nostri spettatori smazzarsi una diretta su un dibattito che andava in onda dalle 3 alle 5 di notte. Ma poi, per carità, l’ editore è l’ editore».

Hai detto che i vecchi giornalisti monopolizzano il mestiere e bloccano le carriere dei giovani. E che questa – stare seduti e ostacolare – è la fotografia del nostro Paese. Ma tu non sei il primo a farlo?
«Certo, anch’ io sono un tappo per la crescita dei miei figli.
Ma lo sei anche tu, oggi, pensaci, un te stesso giovane non riuscirebbe ad entrare nel sistema. Dico una cosa che mi farà odiare: giornali e tv, in Italia, sono nella maggior parte fatti da sessantenni che si rivolgono a lettori delle loro età. Perciò c’ è la crisi dell’ informazione tra i giovani. È come mettere sempre i dischi in vinile della Pavone. Vai a questi incontri, come il Festival del Giornalismo di Perugia, e vedi questi ragazzi che ti guardano come col naso schiacciato sulla vetrina di una pasticceria; poi ci sono le scuole di giornalismo fabbriche di disoccuppati».

Non mi dire che sei preoccupato per i tuoi figli «I miei hanno 31, 25, 12 e 11 anni: non ti credere. Che mi metto a fare, li raccomando?
«Come ho scritto su Facebook, e come ti avevo anticipato, fonderò un giornale online fatto da soli giovani. Un sito che dia lavoro a 100 – anzi, no facciamo 30 -ragazzi; e che sia magari sovvenzionato dal 20% delle pensioni di noi vecchi, che tanto pur di non tornare a casa lavoreremmo anche gratis. Ma non lo dico troppo per non essere inondato dai curricula».

Rete4 ha dichiarato di dedicarsi completamente all’ informazione, ha smorzato i toni grillini e leghisti; e ha arruolato colleghi non esattamente a destra come Gerardo Greco e Barbara Palombelli. La novità è che vuole essere “la diretta concorrente di La7”. Ti sorprende?
«Mi lusinga. Se vogliono imitarci e superarci per me è il riconoscimento di un grande lavoro. Hanno capito anche loro che, nell’ informazione l’ equilibrio e gli elementi di realtà fanno premio. Stimo molto Greco, la Palombelli, Porro. E un nuovo tg fa bene alla concorrenza».

Ti faccio notare che sono, più o meno, le stesse parole usate da Mediaset quando tu andati a fondare il TgLa7
«Allora c’ erano due grossi tg concentrati solo su un unico soggetto politico, mi lasciarono un’ autostrada. Noi non saremo così generosi».

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