La follia di statalizzare Rischiamo di beccarci 50 miliardi di debiti
Tornare agli spensierati «90 Special» (copyright di Nicola Savino) con lo Stato signore e amministratore di compagnie aeree, autostrade, telecomunicazioni e servizi pubblici, metterebbe le ali al gigantesco debito che pesa sulle spalle degli italiani per 2327 miliardi di euro, pari al 132% del Prodotto interno lordo.
Solo la Grecia in Europa fa peggio. E con la ventilata ondata di nazionalizzazioni l’Italia salirebbe vicino al 180% di rapporto debito/Pil di Atene.
Le attività che, a vario titolo, sono entrate nell’orbita del governo porterebbero in «dote» a Roma, in caso di nazionalizzazione, non meno di 50 miliardi di soli debiti come prima e prudenziale stima (molto dipenderebbe poi dal perimetro delle attività da riportare in mano statale). Senza considerare gli ulteriori costi e le compensazioni da riconoscere ai soci delle aziende che, nel corso degli ultimi venticinque anni, sono subentrate allo Stato nella proprietà o nella gestione di attività tornate a essere considerate strategiche per il Paese. La retromarcia rischierebbe di dare il colpo di grazia ai conti pubblici in un momento in cui i mercati già tremano in vista delle prossime revisioni dei giudizi sul debito tricolore (Fitch alzerà il velo il 31 settembre). Un rating peggiore significa interessi più alti da riconoscere ai finanziatori e meno risorse da destinare alla cittadinanza.
La tragedia di Genova, con il crollo del viadotto Polcevera sulla A10 amministrata da Atlantia, ha riportato nel mirino il tema della gestione delle autostrade da parte di terzi accusati di aver incassato lauti pedaggi senza devolvere abbastanza in manutenzione. Più membri del governo hanno ipotizzato la revoca delle concessioni alla finanziaria della famiglia Benetton che gestisce 3mila km di strade. Anche qualora una simile soluzione fosse ritenuta perseguibile, porterebbe con sé una mina vagante per i conti pubblici: il debito «monstre». Atlantia ha debiti per 10,3 miliardi, senza considerare quelli derivanti dal consolidamento della spagnola Abertis. Se poi il tema fosse l’amministrazione di una infrastruttura strategica per lo Stato da parte di terzi, la nazionalizzazione potrebbe coinvolgere anche i 1423 km di rete gestiti dai Gavio. La «dote» in questo caso sarebbe di 1,4 miliardi di debito netto di Sias. Non mancano poi ulteriori concessionari come BreBeMi controllata da Autostrade Lombarde (in mano per il 42% del capitale a Intesa Sanpaolo) con i suoi 1,7 miliardi di debiti.
Il ritorno al futuro ventilato dal governo gialloverde non si ferma alle sole autostrade. Già da tempo si parla di una nazionalizzazione della rete di telecomunicazioni di Tim per poter garantire la digitalizzazione del Paese, condizione necessaria al futuro sviluppo economico. E anche in questo caso il conto sarebbe salato: su Telecom Italia pesano 25,4 miliardi di debiti e, stando alle stime degli esperti, la metà seguirebbe la rete.
Negli ultimi giorni è tornato d’attualità il tema delle risorse idriche oggi gestite per lo più da ex municipalizzate come A2A che a fine giugno aveva un debito di 3 miliardi, Acea (2,5 miliardi), Hera (2,6 miliardi) e Iren (2,4 miliardi). In ultimo il governo, insoddisfatto delle trattative portate avanti con i potenziali acquirenti, ha manifestato la volontà di portare in mano pubblica Alitalia (su cui pesa un debito di 1,28 miliardi) e Ilva (il debito stimato è di 4 miliardi).
IL GIORNALE