Opporsi (male) ai populisti

Il populista di destra Jimmie Akesson non ce l’ha fatta. Non è riuscito a trascinare il suo partito — Democratici Svedesi — a ridosso di quello socialdemocratico di Stefan Loefven e non ha scavalcato quello moderato di Ulf Kristersson. La muraglia svedese in qualche modo ha retto. Il primo ministro Loefven aveva accusato il nemico sovranista di «voler spegnere l’incendio con l’alcol», gli elettori gli hanno dato retta e adesso anche Kristersson lascia intendere che potrebbe sostenere un gabinetto di unità nazionale che faccia barriera contro l’estrema destra. In Danimarca, Norvegia e Finlandia i populisti si sono già da tempo imposti come interlocutori di governo. In Svezia non ancora perché i socialdemocratici hanno resistito. E sono stati premiati. Ma, a parte il fatto che il trentanovenne Akesson ha comunque ottenuto un risultato considerevole, la vittoria di Loefven non appare tale da determinare una svolta politica nel resto d’Europa. Pochi giorni fa Manfred Weber, leader della Csu e capogruppo del Partito popolare europeo, è sceso in campo, con l’apparente sostegno di Angela Merkel, nella competizione per sostituire Jean-Claude Juncker alla guida dell’Ue. Si è proposto come Spitzenkandidat indicando ad origine dei recenti guai continentali l’uscita di David Cameron dalla formazione che riunisce i democristiani d’Europa. Di lì la Brexit e numerosi altri sfaldamenti del fronte anti sovranista.

Ha sottolineato, lo stesso Weber, come la coalizione che quattro anni fa elesse Juncker — composta da socialisti, popolari e liberali — disponesse all’epoca di appena 45 voti di scarto, voti che domani forse non ci saranno più. Dove andarne a cercare di nuovi? Qui il candidato alla successione di Juncker si è lanciato in grandi lodi nei confronti dell’ungherese Viktor Orbán, dell’italiano Matteo Salvini e dell’austriaco Sebastian Kurz sui quali, in un’intervista a Marco Bresolin (La Stampa), ha detto di «contare molto». Tutto ciò mentre il ministro dell’Interno tedesco, nonché leader dei cristiano-democratici bavaresi, Horst Seehofer, prendendo spunto dall’uccisione a Chemitz di un cittadino tedesco da parte di due extracomunitari, è tornato a definire la migrazione come «la madre di tutti i problemi». Da notare che Seehofer è titolare di dicastero in un governo sostenuto anche dai voti socialdemocratici, i quali socialdemocratici per questa sua sortita si sono limitati a una pur vibrante protesta verbale.

Tutto ciò può essere letto in due modi. Il primo è che i partiti moderati, centristi d’Europa cominciano a dare segni di cedimento all’estrema destra talché è possibile che nel medio periodo siano da essa inghiottiti. Il secondo, assai diverso, è che qualcuno dal loro interno stia provando — nella misura del possibile — a riassorbire il fenomeno sovranista. Più probabile che sia questo il vero senso delle iniziative di Weber e Seehofer che intendono dare una risposta alle paure più o meno irrazionali degli elettorati continentali. E vogliono farlo adesso, in tempi nei quali i loro partiti sono ancora relativamente forti e (anche se, forse, per un tempo non infinito) dispongono della maggioranza dei voti nei loro Parlamenti. Sicché il Partito popolare europeo potrebbe trovarsi presto ad essere un ponte tra formazioni democristiane classiche e raggruppamenti nuovi di impronta marcatamente populista (come spiega Paolo Valentino su queste stesse pagine). Allo stato attuale questa iniziativa di alcuni leader del Ppe appare tardiva, disperata, votata ad un probabile fallimento. Simile a quella con cui liberali, cattolici e centristi negli anni Venti e Trenta provarono a contenere fascisti e nazionalsocialisti in Italia e Germania. E di conseguenza piena di insidie. Ma quantomeno è un’iniziativa; non ci si limita ad attendere che l’Europa scivoli lentamente verso il mondo di Akesson mettendo in campo esclusivamente la propria testimonianza. Gli ostili a Weber, a cominciare dalle sinistre europee, dovrebbero quantomeno porsi il problema di elaborare una linea politica in grado di disarticolare, in qualche modo, il fronte antisistema. E invece sembra prevalere in queste sinistre un senso di evidente rassegnazione. In qualche caso camuffato da chiacchiere, autoassolutorie, che — come già in passato — annunciano le ere più buie della storia.

A proposito di sinistra, qualche giorno fa Wlodek Goldkorn (su Repubblica) faceva notare come riformisti e rivoluzionari polacchi la facciano da padroni nelle grandi città, Varsavia e Danzica, fino ad oggi «immuni dal sovranismo»: in quei centri urbani vive un ceto medio composto da intellettuali, artisti, giovani, ceto che riesce ad esercitare ancora una notevole egemonia culturale. Gli appartenenti a questa comunità hanno un giornale, la Gazeta Wyborcza, che, pur essendo in crisi, è il principale quotidiano del Paese. Possiedono altresì, i progressisti polacchi, un sito internet, Oko press, un’emittente televisiva, Tvn, che hanno grande successo e si oppongono esplicitamente al primo ministro Mateusz Morawiecki e al partito di Jaroslaw Kaczynski. Questa parte della popolazione ha le sue piazze, i propri ritrovi, caffè e ristoranti di riferimento. Ostenta un peculiare stile di vita, si muove prevalentemente in bicicletta, ha abitudini alimentari per lo più vegetariane che la fanno diversa dal resto della Polonia. E ha solidi presidî in tutto ciò che attiene al mondo della cultura: musica, film, spettacoli teatrali, libri. Però alle elezioni questa sinistra viene regolarmente battuta, non riesce a conquistare più di un terzo dei voti. Ma non se ne dà pena: vive in una bolla dove «la vita è comoda e spesso agiata», e non esita ad ammettere apertamente di aver «abbandonato l’idea di avere una rappresentanza politica in grado di vincere le elezioni e conquistare il potere». Le opposizioni parlamentari partecipano a questo triste gioco mostrandosi complici di tale rassegnazione e «in preda a rivalità personali poco comprensibili». Senza alcun pudore. Qualcosa di simile si registra anche in altri Paesi europei e comincia a intravedersene qualche tratto persino in Italia. Laddove ai partiti che non vogliono lanciarsi nell’impresa di Weber probabilmente servirebbero, al momento, un minor numero di appelli, di sermoni millenaristici, di attestazioni di sdegno e più precise indicazioni su come e in compagnia di chi riconquistare la maggioranza in Parlamento. E di come farlo prima che l’unica alternativa per coloro che non vorrebbero morire sovranisti resti quella di rassegnarsi a vivere nel mondo della controcultura polacca.

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