Pensioni, il cantiere aperto per arrivare a «quota 100»
Il cantiere delle pensioni è forse il più delicato fra quelli aperti sulla legge di Bilancio 2019 che il governo presenterà a metà ottobre. Sia perché mandare le persone in pensione prima rischia di provocare reazioni negative sui mercati e da parte della commissione europea. Sia perché la famosa «quota cento» di cui si sta discutendo costerebbe, secondo le stime arrivate al ministero del Lavoro, qualcosa come 8 miliardi nel 2019 e ancora di più negli anni successivi. Per questo sul tavolo ci sono diverse ipotesi di riserva, fino a quelle che minimizzerebbero i costi a un paio di miliardi. Un aiuto verrebbe poi da imprese e sindacati, con i quali il governo sta riservatamente ragionando di un accordo quadro per il «Ricambio generazionale» che dia il via a fondi di categoria di prepensionamento (fino a 5 anni) che si farebbero carico di parte dei costi delle uscite dei lavoratori in esubero.
Quota 100
Ma partiamo dalle norme attuali, frutto della Fornero e delle riforme precedenti. Dal primo gennaio 2019 per andare in pensione di vecchiaia servono 67 anni d’età (e 20 anni di contributi). È possibile anche la pensione anticipata, ma per accedervi, sempre dal prossimo gennaio, occorrono, a prescindere dall’età, almeno 43 anni e 3 mesi di contributi per i lavoratori, un anno in meno per le lavoratrici. L’ipotesi «quota cento» prevede l’accesso alla pensione già a 62 anni d’età, purché si abbiano 38 anni di contributi (la somma fa appunto 100). Ma si potrebbe lasciare il lavoro anche a 63 anni (con 37 di contributi), a 64 (con 36) e a 65 (con 35). Questa appena illustrata è l’ipotesi più generosa.
Consentirebbe a una platea potenziale di 492mila lavoratori di andare in pensione nel 2019. Il costo sarebbe appunto di circa 8 miliardi. Che salirebbe se, come vuole Matteo Salvini, si abbassasse a 41 anni e mezzo anche il requisito per la pensione anticipata.
Le ipotesi restrittive
Per contenere i costi ci sono varie possibilità. La prima prevede di alzare l’asticella del minimo di contributi richiesto per quota 100. Se si portasse a 36 (facendo fuori la combinazione 65 anni + 35 di versamenti) la platea di potenziali pensionati in più scenderebbe a 450 mila. Se il limite salisse a 37 anni di contributi la platea si ridurrebbe a 433mila e la spesa aggiuntiva a 7 miliardi. Ancora troppo. Ecco perché si studiano anche altre ipotesi: applicare il ricalcolo contributivo (sui versamenti dal 1996 in poi) per chi va in pensione con quota 100, che significherebbe prendere un assegno più basso (del 10-15% nella gran parte dei casi); consentire non più di due anni di contributi figurativi e agganciare quota 100 agli scatti biennali della speranza di vita. Infine, l’ipotesi più restrittiva prevede di limitare nel primo anno quota 100 solo a determinate categorie di lavoratori svantaggiati,sulla falsa riga dell’Ape sociale (ne beneficiano a 63 anni e 36 di contributi disoccupati, invalidi e lavoratori con disabili a carico e, a 63 anni e 30 di contributi, chi svolge lavori gravosi).
Fondi aziendali
Qualunque sarà la soluzione, appare certo il varo di un canale parallelo di pensionamento attraverso i fondi di categoria frutto di accordi tra imprese e sindacati che, sulla scorta di modelli esistenti (credito, assicurazioni, trasporti, chimici) consenta il prepensionamento fino a 5 anni dei lavoratori in esubero. Sarebbe finanziato da un contributo ad hoc dalle imprese e incentivato fiscalmente. Alla fine potrebbe essere questo il canale principale di uscita anticipata dal lavoro.
CORRIERE.IT
This entry was posted on giovedì, Settembre 20th, 2018 at 07:30 and is filed under Economia - Lavoro. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can skip to the end and leave a response. Pinging is currently not allowed.