Svizzera, da fine settembre cade il totem segreto bancario
di FRANCO ZANTONELLI
LUGANO – “Non ci sono più soldi in nero di clienti stranieri, nelle banche elvetiche”. Parola di Herbert Scheidt, presidente dell’Associazione Svizzera dei Banchieri, alla vigilia dell’entrata in vigore, a fine settembre, dello scambio automatico di informazioni fiscali, tra la Confederazione e un centinaio di paesi, tra cui l’Italia. Ciò significa che il fisco elvetico trasmetterà, d’allora in poi, i dati bancari dei propri clienti ai colleghi delle nazioni con cui è stato stipulato l’accordo.
Va detto che “la strategia del denaro pulito”, come in Svizzera è stato definito il processo che ha portato allo scambio automatico di informazioni fiscali, è stata favorita dalla crisi finanziaria del 2008, che ha impoverito numerosi Stati, costringendoli ad andarsi a prendere, con le buone e con le cattive, i miliardi che molti loro cittadini avevano occultato su conti cifrati svizzeri. Senza “la strategia del denaro pulito” la Svizzera, oggi, figurerebbe, ancora, tra i reprobi della finanza internazionale.
“Cionostante è provato- spiega a Repubblica l’avvocato di Lugano, Paolo Bernasconi, ex-Procuratore del Canton Ticino e padre della legge svizzera anti-riciclaggio – che Parlamento e Governo si sono battuti per ostacolare la trasparenza fiscale internazionale”. In che modo? “Beh, penso alle pressioni di migliaia di impiegati del settore bancario e parabancario, che hanno segato le gambe al tavolo dei negoziatori svizzeri”. Per Bernasconi la diga eretta dalla piazza finanziaria elvetica è caduta “grazie alle pesantissime reazioni ostili alle banche svizzere, avviate dagli Stati Uniti, poi copiate dalle autorità di altri Paesi, fiancheggiate da costanti pressioni del G20, dell’OCSE e dell’UE”.
Adesso le banche, soprattutto i colossi come Credit Suisse e Ubs, sembrano diventati estremamente ligi alla normativa anti-evasione. “In effetti, dal 2016- rileva l’esperto -il Codice Penale Svizzero punisce il riciclaggio del provento di reati fiscali aggravati e cominciano ad arrivare le prime rogatorie estere. I rischi penali, per le banche, sono cresciuti: quindi evitano qualsiasi conto non dichiarato fiscalmente”. Senta, non è paradossale, alla luce di questa nuova immagine, all’insegna della trasparenza, che il fisco svizzero non possa accedere ai dati bancari dei contribuenti residenti nella Confederazione? “Si, però, migliaia di evasori svizzeri hanno aderito alla voluntary disclosure elvetica, facendo emergere, negli ultimi anni, oltre 20 miliardi di franchi. Inoltre, a causa dei rischi penali, parecchie banche rifiutano, come per gli stranieri, conti di contribuenti svizzeri che non siano dichiarati fiscalmente. Infine, tenga presente che i ministri delle finanze dei Cantoni chiedono di porre fine a questo paradosso”. Insomma, il totem del segreto bancario potrebbe essere appeso a un filo.
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