Il governo mette a punto lo scippo delle pensioni
La convocazione di un vertice di maggioranza a Palazzo Chigi ieri sera è giunta inaspettata. Il meeting avrebbe dovuto svolgersi oggi, prima del Consiglio dei ministri che sarà chiamato a varare il Documento programmatico di Bilancio (con i saldi della manovra da inviare alla Commissione Ue) e il decreto fiscale che contiene le misure con le quali i contribuenti potranno sanare le proprie pendenze con il fisco.
Ma nel governo gialloverde c’è più di qualcosa che non funziona. E ieri se n’è avuta una riprova con le indiscrezioni circa una curvatura punitiva del taglio delle pensioni d’oro che, secondo Repubblica, sarebbe potuto scendere da 4.500 a 3.500 euro netti mensili per recuperare il miliardo tanto caro al vicepremier Luigi Di Maio. E anche le acrobazie linguistiche del premier Conte sul reddito di cittadinanza «geografico» non hanno aiutato.
Di qui la chiarificazione dello stesso Di Maio a Domenica Live. Il taglio delle pensioni d’oro, ha spiegato, sarà inserito nel decreto legge fiscale all’esame del Consiglio dei ministri e «partirà dalle pensioni di importo pari a 4.500 euro netti al mese in su e non esiste alcuna ipotesi di abbassare la soglia a 3.500 euro».
Cifre confermate in serata anche da Matteo Salvini. Il valore della sforbiciata è confermato in un miliardo e riguarderà «i pensionati che godono di assegni elevati per i quali non hanno versato i contributi». La manovra «ripagherà per la prima volta il popolo che ha dovuto pagare le pensioni d’oro, i vitalizi e le auto blu».
L’intento redistributivo e anche punitivo della legge di Bilancio tramite il reddito di cittadinanza pare sempre più conclamato. È chiaro che una simile impostazione metta sempre più nell’angolo la Lega di Matteo Salvini che si trova nella scomoda posizione di colui che non può venir meno alla parola data sebbene ne vada della propria credibilità. Né si può ricorrere al ministro dell’Economia, Giovanni Tria, per fare gioco di sponda poiché il Tesoro non sta assecondando in maniera particolare nessuno dei due contendenti.
Il Carroccio si vede così continuamente scavalcato sul fronte previdenziale che resta mal presidiato. È vero che la Lega molto probabilmente porterà casa la riforma della legge Fornero con l’introduzione di «quota 100» ma si vede costretta a subire attacchi sulle pensioni d’oro senza disporre di un’adeguata contraerea. Il consigliere di Salvini in materia previdenziale, Alberto Brambilla, già dall’estate aveva messo in guardia dagli effetti negativi del taglio così come sulla scarsa sostenibilità della pensione di cittadinanza, ma non c’è stato nulla da fare. È stata scartata quasi subito la proposta di Brambilla di introdurre un contributo di solidarietà temporaneo per finanziare l’aumento delle pensioni più basse senza incorrere nei problemi di costituzionalità legati al ricalcolo contributivo.
Ora ai leghisti non resta che difendere dall’intervento di ricalcolo contributivo coloro che si sono «pensionamenti obbligati in forza di legge» in modo da ridurre al minimo la platea interessata salvando donne, militari e altri dipendenti pubblici. Qualcuno, comunque, sarà stangato senza contropartita. Infatti non ha sortito risultati la moral suasion relativa alla condizione dei cosiddetti «pensionati d’oro»: si tratta per la maggior parte di ex lavoratori con retribuzioni alte che ricevono pensioni praticamente già commisurate ai contributi versati, a differenza degli altri pensionati con il vecchio metodo retributivo. Niente da fare. Per il M5S sono privilegiati e, dunque, nemici da abbattere come i kulaki ai tempi delle purghe staliniane. Tra l’altro, agganciando le pensioni d’oro al collegato fiscale Di Maio si procura un’arma di ricatto nei confronti di un alleato che sta cercando di sabotare in tutti i modi la soglia dei redditi non dichiarati (M5s vorrebbe scendere a 100mila euro) e sulla voluntary disclosure ter.
IL GIORNALE