Tra ricalcoli e penalizzazioni quante incognite sui tagli

Roma. Il ddl Lega-M5S potrebbe portare a «una riduzione della spesa pensionistica inferiore ai 150 milioni l’anno».

Così il presidente dell’Inps, Tito Boeri, aveva valutato l’efficacia del disegno di legge per il taglio delle pensioni d’oro, una cifra ben lontana dal miliardo che il vicepremier Luigi Di Maio propaganda da settimane. Tali correzioni, inoltre, interverrebbero su una platea ristretta (circa 30mila persone) coprendo in tre casi su quattro le pensioni di anzianità già in essere. Per il restante 25% a essere penalizzati sarebbero coloro che approfitteranno di «quota 100» uscendo dal lavoro con almeno 62 anni di età e 38 di contributi. Da una parte si invogliano le persone a ritirarsi creando pure nuove «pensioni d’oro», dall’altra parte si colpiscono quelle stesse persone.

È uno dei tanti paradossi del governo giallo-verde. Ma come funziona il progetto pentaleghista? Fondamentalmente si basa sull’applicazione di coefficienti di trasformazione (i parametri che «trasformano» il montante contributivo in reddito mensile) elaborati tenendo come punto fermo l’attuale età pensionabile che ora è a 66 anni e 7 mesi e dal primo gennaio salirà a 67 anni.

In base a questo ricalcolo, secondo le stime del Centro studi Tabula dell’esperto previdenziale Stefano Patriarca, sopra la soglia dei 4.500 euro netti mensili le pensioni verrebbero tagliate fino al 17 per cento. Secondo l’Inps, invece, La riduzione massima applicata è del 23%, mentre la riduzione media è pari all’8 per cento. Al momento, però, non c’è nessuna certezza sulla modalità di funzionamento di questa «ghigliottina». Il disegno di legge contiene una clausola di salvaguardia che esenta coloro che percepiscono meno di 4.500 euro netti mensili, ma nel caso in cui il pensionato fosse percettore di più assegni potrebbe incorrere nella penalizzazione. Ecco perché Patriarca indicava qualche tempo fa in 40-50mila persone la platea interessata.

Il problema principale riguarda la costituzionalità di un eventuale provvedimento così congegnato. A essere maggiormente colpiti sarebbero coloro che sono andati in pensione prima dei 60 anni perché la legge glielo consentiva in virtù di un’anzianità contributiva congrua (ad esempio, coloro che nei primi anni Duemila si pensionavano con 58 anni e 35 di contributi). Oggi costoro sarebbero penalizzati in misura superiore rispetto a coloro che si sono ritirati dal lavoro nello stesso periodo ma a 63-64 anni di età sebbene con meno anni di contribuzione. Il tutto perché il ricalcolo previsto originariamente fissa per il periodo cavallo tra 1998 e 2003 un’età pensionabile indicativa di 65 anni. Un militare che l’anno prossimo vorrà ritirarsi in base alla legge Fornero perché avrà raggiunto 43 anni e 3 mesi di contributi a 62 anni rischia una penalizzazione superiore al 10% perché lontano dall’età pensionabile di 67 anni. Docenti universitari e magistrati, che possono lavorare fino a 70 anni, non saranno toccati.

IL GIORNALE

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