Il governo e i mercati parlano due lingue diverse: ecco i pericoli che corrono gli italiani

Giovanni Pons

Devo essere sincero, quando ho visto in Tv il ministro dell’Economia Giovanni Tria pronunciare frasi come i “fondamenti” dell’economia italiana, o “tutto è modificabile, se lo spread arriverà a 400 potremmo decidere di intervenire”, o ancora che la “distruzione creatrice shumpeteriana ha bisogno dell’intervento dello Stato”, ho provato una sensazione di scoramento mista a commiserazione. Già dal modo in cui il ministro parla si percepisce la sua scarsa dimestichezza con il linguaggio degli operatori che stanno tutto il giorno a seguire le peripezie dei mercati, come se il professore che ora siede sulla poltrona che fu di Quintino Sella fosse rimasto per anni immerso nella sua nuvola accademica e qualcuno tutto d’un tratto gli avesse chiesto di scendere sulla terra per far parte di questo mondo.

D’altronde, chiunque abbia mai discusso con un analista finanziario o con un economista di mercato sa che il classico riferimento nei loro discorsi è ai “fondamentali” dell’economia, una locuzione che serve a  far capire che in un qualunque istante X esiste uno scostamento tra ciò che esprime il mercato con i suoi  prezzi frutto di domanda e offerta e le variabili macro e micro economiche che dovrebbero guidarli. Sono interlocuzioni verbali che in economia hanno ancora un senso e che non possono essere storpiate.

Allo stesso modo quando un ministro dell’Economia dice che questo livello di spread non è a lungo sostenibile e se arriva troppo in alto ‘interverremo’ significa che non ha capito che se lo spread arriva a 400 è già troppo tardi per intervenire, che la situazione gli è scappata di mano, che potrebbero già esserci code agli sportelli di italiani che vogliono ritirare i propri soldi dalle banche perché magari la Carige o il Monte dei Paschi non riescono più a finanziarsi sul mercato. E a quel punto l’unico intervento possibile sarebbe la nazionalizzazione delle banche con immissione di miliardi di soldi pubblici che farebbero esplodere ulteriormente il debito pubblico italiano.

E quando sia il premier Conte che il ministro Tria continuano a ripetere che “se ci lasceranno il tempo per spiegare la manovra alle istituzioni euroepee e ai mercati allora tutti capiranno e lo spread tornerà ai livelli precedenti”, risulta evidente il loro scollamento dalla realtà. Non solo i mercati hanno capito da tempo, almeno da maggio, di quale manovra si tratta, ma aspettavano solo la pubblicazione nero su bianco dei numeri per avere le conferme e fornire un giudizio immediato. Poiché lo spread invece che diminuire è aumentato, è più facile che siano Conte e Tria a non aver capito gli effetti della manovra da loro presentata. Oppure questa loro ingenuità rappresenta in realtà un atout, un modo per rimarcare agli occhi degli elettori di Lega e 5 Stelle la distanza con il passato che ha portato solo pessimi risultati.

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Ma per gli addetti ai lavori e per chi capisce un po’ di economia le esternazioni di questi ultimi giorni dei responsabili del governo sembrano dichiarazioni di pazzi che non hanno la minima idea della materia di cui stanno trattando. Sostenere che lo spread è il braccio armato di un complotto europeo ai danni dell’Italia significa non sapere (o non voler capire) che lo spread non è governato da qualcuno in particolare ma è semplicemente una variabile di cui bisogna tener conto quando si imposta una Legge di Bilancio. E che un suo innalzamento va a riflettersi inevitabilmente sull’economia italiana attraverso prestiti più cari alle imprese che saranno costrette a diminuire gli investimenti, e attraverso maggiori costi per i prodotti finanziari, dai mutui al credito al consumo, che i cittadini dovranno sopportare.

Era stato lo stesso Tria a dire a settembre al meeting di Cernobbio davanti agli imprenditori: “Inutile cercare di fare più spesa pubblica in deficit perché se così facendo aumenta lo spread si perdono soldi in maggiori interessi sul debito”. Una considerazione semplice, quasi banale ma che il ministro ha inspiegabilmente dimenticato nelle settimane successive quando su pressione di Salvini e Di Maio ha accettato di alzare il livello del rapporto deficit/Pil al 2,4%. E quando Tria pochi giorni dopo è andato a Bruxelles a spiegare le sue ragioni in un’intervista televisiva ha detto: “Stiamo facendo una scommessa sulla crescita, se non funziona la correggeremo”.

Se il ministro dell’Economia dice, seppur in nome della necessità di cambiamento richiesta dagli elettori, che il governo sta facendo una scommessa, che non sa se questa andrà a buon fine, che se lo spread arriva a una certa soglia le banche rischiano grosso e allora bisognerà tornare sui propri passi, un normale cittadino come reagirebbe? Come minimo si allaccia le cinture di sicurezza, limita le spese al minimo perché l’incertezza è aumentata, tira la cinghia in attesa di tempi migliori e cerca un rifugio sicuro per i risparmi di una vita possibilmente al di fuori delle banche. Di fatto è ciò che sta succedendo in questi giorni con tanti saluti alla crescita del Pil promessa dal governo.

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Ancora. Se il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, dice pubblicamente che con lo spread a 400 le banche vanno in crisi, non si capisce se ci è o ci fa. Non lo sapevano i signori oggi al governo che con una manovra che aumenta deficit e debito pubblico lo spread sarebbe salito? L’abbiamo scritto anche noi in tutte le salse, fin dalla campagna elettorale infarcita di slogan contro i poteri forti dell’Europa, che le promesse ivi contenute erano incompatibili con obbiettivi di finanza pubblica disciplinata. E ora scoprono che se lo spread sale le banche, i cui bilanci sono pieni di titoli di stato che perdono di valore se i rendimenti salgono, creano dei buchi patrimoniali che possono essere colmati solo con nuovi aumenti di capitale. Non l’avevano capito prima? E dove vivevano, su Marte? E chi li mette i nuovi capitali nelle banche italiane? La triste realtà è che i mercati tanto vituperati sono pronti a fare una pernacchia a Giorgetti, Salvini, Di Maio, Tria e compagnia bella.

Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Foto di Elisabetta Villa/Getty Images

Come tutti sanno la materia economica e finanziaria è incandescente e occorre competenza per maneggiarla. Certo l’uscita dal ‘cul de sac’ in cui si trova l’Italia a causa dell’elevato debito pubblico non è facile da trovare. Durante la scorsa estate abbiamo segnalato ai nostri numerosi lettori che il problema fondamentale da risolvere era come riuscire ad abbattere il debito pubblico che per la sua dimensione limita gli spazi di manovra e gli sforzi per ottenere maggiore crescita. E non ci sbagliavamo, viste le tensioni di questi giorni.

Da una parte restiamo convinti che non bisogna abbandonare l’idea di poter trovare nuove vie per far crescere il Pil di più di quanto si è fatto finora. E in quest’ottica gli sforzi del “governo del cambiamento” sono ammirevoli, anche se con risultati tutti da dimostrare. Ma non si può ignorare la situazione debitoria in cui versa l’Italia e proporre misure che appartengono più alle aule accademiche che alla realtà degli ultimi cinquant’anni. Insomma non si possono lanciare tanti boomerang che rischiano di tornare indietro facendo più male dei benefici prodotti.

Per questo motivo sono in molti a pensare, noi compresi, che l’unica strada da imboccare sia quella di prendere il toro per le corna e mettere a punto un piano serio per diminuire il debito pubblico: come prima cosa. Solo così lo spread può diminuire consentendo di liberare risorse finanziarie che possono essere sapientemente spese per rilanciare la crescita del Pil. Non è facile ma bisogna partire da lì, non dall’aumento della spesa pubblica che automaticamente fa salire lo spread e gli oneri finanziari associati al nostro debito. Finché non si capirà questo assunto di base sarà difficile uscire dal tunnel e bisogna sperare che l’ingenuità di Giorgetti nel fissare una soglia (spread a 400) per l’intervento pubblico nelle banche non convinca il mercato che valga la pena andare a vedere se il governo bluffa o fa sul serio, portando lo spread vicino a quel livello. E a quel punto tornare sui propri passi sarà molto, molto difficile.

Business Insider Italia

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