Il finanziamento che arriva dal basso: il crowdfunding per le imprese e investimenti cresce anche in Italia

Gea Scancarello

Se le più nefaste previsioni di questi giorni dovessero avverarsi – spread alle stelle, tassi in rialzo e inevitabile conseguente restringimento del credito: purtroppo, un film già visto – allora davvero qualcuno potrebbe fare un balzo in avanti. No, non i soliti speculatori “alla Soros”, per usare un refrain fin troppo comune, e nemmeno certa politica in attesa del diluvio universale per tornare alla casella di partenza. Bensì gli operatori di crowdlending ed equity crowdfunding, le due branche del crowdfunding legate alle imprese e agli investimenti, la cui attività consiste nel proporre finanziamenti erogati dalla massa, in operazioni a debito (crowdlending) o con le quali gli investitori entrano nel capitale di aziende e start up (equity crowdfunding).

Detto in modo semplice, singoli risparmiatori (o, più raramente, investitori istituzionali) che erogano liquidità alle piccole e medie imprese (Pmi), con adeguata remunerazione, attraverso piattaforme Internet specializzate e sottoposte al vaglio del regolatore nazionale. In breve, la declinazione business del fenomeno peer-to-peer con cui da tempo si finanziano opere di ingegno e di beneficenza, festival e giornali, tra cui recentemente la raccolta di contributi per la mensa dei i bambini stranieri a Lodi.

La variante business è relativamente giovane in Italia, dove l’associazione tra digitale e denaro è ancora guardata con un certo sospetto: soltanto l’e-commerce nazionalpopolare e assai comodo di Amazon ha abbattuto storiche resistenze. Ma crowdlending ed equity crowdfunding – rispettivamente 11 e 27 i portali autorizzati in Italia –  hanno buone possibilità di crescita, se ci si fida delle statistiche del mondo anglosassone, da cui storicamente importiamo abitudini e tendenze: nel Regno Unito e in America la penetrazione delle piattaforme che mettono in contatto aziende che cercano capitali con chi è disposto a erogarli è pari al 2%. Nell’Europa continentale, Italia inclusa, si ferma a un decimo di quel valore.

Eppure il contesto economico e la struttura industriale italiana, composta per lo più da Pmi  che soffrono ancora di una restrizione del credito, ci fa pensare che i canali alternativi abbiano grossi margini di crescita, spiega Sergio Zocchi, country manager italiano di Lendix, operatore internazionale nato in Francia nel 2015 e attivo nel nostro Paese dal maggio 2017, con 50 progetti finanziati per un importo superiore a 25 milioni di euro.

Con un meccanismo di incontro tra domanda e offerta particolarmente semplice: l’azienda fa richiesta di finanziamento sulla piattaforma, precisa importo, durata e utilizzo delle risorse richieste e poi attende 48 ore. Il lasso di tempo necessario a un team di analisti, supportati dalla tecnologia, per valutare la richiesta, eventualmente contattare l’azienda per chiedere ulteriori informazioni e fornire una risposta, precisando se la richiesta è ricevibile e, considerato il profilo di rischio, con quale rendimento per gli investitori. Un modello alternativo a quello “diffuso”, scelto da molti operatori, in cui gli investimenti vengono suddivisi su più prestiti, a discrezione della piattaforma, con l’obiettivo di ridurre il rischio.

Zocchi non lo dice, ma intuirlo non è difficile: un peggioramento delle condizioni di finanziamento del sistema bancario potrebbe aumentare, e di parecchio, il numero delle richieste. E se il mercato dovesse continuare con le tensioni attuali, i prestatori – 15 mila quelli che hanno aperto un conto su Lendix, con  la possibilità di sottoscrivere quote anche molto piccole, da appena 20 euro, quindi accessibili praticamente a tutti – potrebbero rifugiarsi in operazioni legate a imprese non quotate, quindi non immediatamente sensibili alle fluttuazioni del mercato.

L’operazione media su Lendix è pari a 500 mila euro, ma si va da poche decine di migliaia di euro fino a un massimo di 5 milioni. Con una particolarità: ai prestatori diretti, cioè alle persone fisiche, su Lendix si affiancano investitori istituzionali quali la European Investment Bank, che partecipano a tutte le operazioni sulla piattaforma, e che quindi in parte ne garantiscono la solidità”, prosegue il manager.

I rendimenti? “Il nostro, mediamente, è del 5,5%”. Potenzialmente interessante per molti piccoli risparmiatori.

Ed è proprio per spingere un sistema paneuropeo, e facilitare le operazioni di finanziamento collettivo, che il parlamento europeo, con la collaborazione degli operatori, sta cercando di mettere a punto un sistema di regole condivise per superare le divisioni nazionali, dalla fiscalità alle autorizzazioni necessarie. L’idea è creare una sorta di  regime autorizzativo europeo che fornisca “un passaporto automatico per gli operatori che vi si adeguano”, spiega Zocchi,  particolarmente interessato all’evolversi della proposta: Lendix opera infatti in Francia, Italia, Olanda e presto anche in Germania, con le difficoltà date dalle diverse regolamentazioni.

L’interessamento di Bruxelles è importante. Già oggi, pur in un contesto frammentato, a livello europeo i numeri sono interessanti: tra le operazioni di lending e quelle di equity crowdfunding solo nel 2016 – ultimi dati disponibili – sono transitati sulle piattaforme 6,5 miliardi di euro.

Anche il settore dell’equity – che ha aspettative di ritorno più importanti ma anche rischi maggiori – sta facendo bene, persino in Italia, dove la raccolta di capitali per start up e affini non è mai cosa semplice. Dopo che il legislatore ha corretto il tiro della prima regolamentazione (che inizialmente consentiva operazioni di equity crowdfunding per le sole startup innovative  – cioè iscritte nell’apposito registro “calderone” – poi aprendolo anche a quelle non innovative e infine a tutte le Pmi), il mercato ha iniziato a crescere.

Nel 2017, in Italia sono state 80 le operazioni portate a termine, di cui  50 (62,5%) con esito positivo, cioè in cui si è raggiunto il target minimo di aumento di capitale; nei primi sei mesi del 2018, 54 campagne sono state chiuse con successo, e 12 non hanno raggiunto l’obiettivo: complessivamente, stando alle stime dell’Osservatorio sul Crowdinvesting del Politecnico, il 2018 dovrebbe chiudersi con una raccolta intorno a 24 milioni di euro. Se si considera che, complessivamente, nel 2017  gli investimenti dei business angel in Italia sono stati pari a 26,6 milioni di euro (in crescita del 10% sull’anno precedente), si tratta di una cifra notevole. E forse anche per questo SeedMoney, un veicolo di investimento e acceleratore privato di startup in fase iniziale, ha deciso di raccogliere nuovi fondi lanciando una campagna su CrowdFundMe, prima community italiana di equity crowdfunding per numero di investitori.

Business Insider Italia

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