Raggi, deficit e Tav: il M5s ora si gioca tutto

L’autunno caldo. La locuzione, entrata nel lessico politico a partire dalle agitazioni sindacali e operaie del 1969, protesta che ha aperto la strada agli anni di piombo, calza a pennello con il mese difficile che si apprestano ad affrontare i Cinque stelle.

La sentenza di Virginia Raggi, prevista per il 10 novembre, lo scontro con l’Europa sulle politiche economiche del governo, la manifestazione degli industriali contro la «manovra del popolo». Ecco tutte le spine che turbano i sonni di Luigi Di Maio e compagni di partito, senza contare le fibrillazioni interne al Movimento. Sempre più rivendicate dagli «ortodossi», dopo anni in cui la dissidenza si è sviluppata soltanto in conventicole carbonare, mai alla luce del sole. E per i pochi che osavano alzare la testa in pubblico era sempre pronta la ghigliottina delle espulsioni. Questa volta, la parola magica risolutiva di ogni conflitto intestino, l’epurazione, è rimasta più o meno confinata ai retroscena giornalistici. Addirittura mercoledì Di Maio ha dovuto spiegare: «Non è prevista nessuna espulsione. È sempre successo che ci siano posizioni diverse prima del voto e dopo». Questa dichiarazione è il termometro di una febbre alta, e il capo politico sa che ora cacciare i «ribelli» non servirebbe a nulla.

Men che meno a compattare il gruppo parlamentare, oggetto di smottamenti più grandi rispetto a ciò che è visibile leggendo le firme in calce agli emendamenti sui provvedimenti più divisivi. Dal Dl sicurezza, al condono a Ischia, fino al decreto fiscale e alla questione Tap e grandi opere. Novembre sarà tutto un brulicare di tensioni.

In ordine di tempo, la prima grana da affrontare è rappresentata dalla decisione del tribunale di Roma sulla Raggi. La data cerchiata in rosso nell’agenda di Di Maio è il 10 novembre. Quando i giudici della Capitale decideranno se condannare o meno la sindaca, imputata per falso nell’inchiesta sulle nomine al Campidoglio, prima fra tutte quella di Renato Marra, fratello di Raffaele, ex braccio destro della prima cittadina. Codice etico M5s alla mano, in caso di condanna in primo grado, la Raggi dovrebbe dimettersi. Fioccano le ipotesi: andare avanti perdendo il simbolo Cinque stelle, proseguire sancendo la decisione con una votazione sulla piattaforma Rousseau, dimissioni in tronco. Con l’ombra di Alessandro Di Battista che aleggia sulle eventuali nuove elezioni a Roma.

Poi c’è il nodo dell’economia. Tre giorni fa è arrivata sulla scrivania del premier Giuseppe Conte una nuova lettera da Bruxelles. Secondo l’Europa le misure inserite nella manovra sono «incompatibili con un debito così elevato». Tempo due settimane e Palazzo Chigi dovrà dare una risposta alle preoccupazioni europee, spiegando come coniugare i provvedimenti espansivi della legge di Bilancio con il debito pubblico italiano, il secondo più alto dell’Eurozona dopo quello della Grecia. Una delle misure più controverse della «manovra del popolo» è il reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia del programma pentastellato. Nell’ultima bozza della Finanziaria ancora non ci sono norme dettagliate che ne regoleranno l’effettiva attuazione. A fronte di stanziamenti per 9 miliardi di euro, non è chiaro quale sarà la platea di cittadini che percepirà l’aiuto. Intanto continuano le critiche da parte degli industriali. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha messo nel mirino proprio il reddito di cittadinanza invitando il governo a una «revisione» della norma, minacciando forme di protesta più plateali.

E pronto a scendere in piazza a Torino è anche il popolo favorevole alla Tav, in una riedizione della marcia dei 40mila. Di Maio è avvisato.

IL GIORNALE

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