Il Carroccio punta alle Europee, ma un passo falso aprirebbe la crisi

«State zitti e sorridete», è invece la parola d’ordine che Salvini ha trasmesso da Gerusalemme ai suoi dirigenti: nessuno avrebbe dovuto rispondere all’«offensiva giustizialista» grillina, che ha alzato il tiro sull’inchiesta relativa ai fondi della Lega e ha chiesto chiarimenti all’alleato. L’insistenza con cui prima i capigruppo M5S, poi persino Di Maio, hanno messo nel mirino il segretario del Carroccio, in altre epoche avrebbe provocato la rottura della coalizione. Ma c’è un motivo se — ad ogni polemica — Salvini esorta i suoi a evitare «falli di reazione». E anche ieri è stata rispettata la regola, sebbene in molti avrebbero voluto ricordare all’altro vice premier il diverso trattamento riservato sulla vicenda che ha coinvolto il padre e lo ha riguardato personalmente.

Il ministro dell’Interno però non intende intestarsi una crisi, non ne ha interesse politico. Il suo obiettivo è arrivare alle Europee con l’attuale gabinetto, in modo da garantirsi due traguardi: assumere il ruolo di player nazionale, come capo del primo partito italiano, e rivendicare alla Lega la scelta del commissario che il governo dovrà indicare a Bruxelles. Per il Carroccio lo snodo dunque è giugno, ed è per allora che il titolare degli Interni — in base ai nuovi rapporti di forza — chiederebbe a suo vantaggio la revisione del «contratto» con i grillini.

Il gioco è chiaro, il punto è se gli avversari hanno delle contromosse. Certo non Di Maio, secondo la Lega, che «ormai è disperato» e vede allargarsi nei Cinquestelle le crepe tra governisti e movimentisti. Da alcune settimane è stata poi individuata un’altra faglia: un’area di parlamentari che è autonoma rispetto ai due blocchi. Se così stanno le cose, se davvero «Di Maio è prigioniero» come evidenzia anche il democratico Delrio, allora il bradisismo politico della maggioranza ha un’altra natura. E forse ha ragione il capogruppo di M5S al Senato, Patuanelli, che giorni fa auspicava la «moratoria dei sondaggi»: «Andrebbero vietati fino a un mese dal voto». Lo stillicidio quotidiano — a suo giudizio — sarebbe quindi la conseguenza della competizione tra i due vice premier, costantemente ingaggiati per un «like» in più sulla rete.

Anche perché, finora, pur di evitare la crisi Di Maio e Salvini un compromesso l’hanno sempre raggiunto. «Sull’eco-tassa io e Matteo abbiamo già un accordo», ha raccontato il capo del Movimento: «La cancelleremo al Senato». Ma di qui a giugno il tragitto è lungo, e un passo falso aprirebbe la strada alla crisi: «In quel caso — secondo il leader del Carroccio — Mattarella non ci farebbe tornare a votare». Se la caduta del governo arrivasse però a giugno, dopo un successo nelle urne, Salvini potrebbe vantare un ruolo centrale nel sistema politico. Perciò ha imposto ai suoi di «sorridere e star zitti». Bisognerà vedere fino a quando resisteranno. Sul territorio scalpitano e nel governo c’è chi — come Giorgetti — si è seduto sulla riva del fiume. Giugno è lontano. E intanto c’è da portare a casa la manovra…

CORRIERE.IT

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