Così il governo architetta la furbata per raggirare la Ue
. Appunto, si spera nelle valutazioni politiche, nella voglia di tutti i contendenti di non farsi male che potrebbe portare ad un rinvio con il rischio che la Ue ci imponga una manovra correttiva tra qualche mese, o magari nel senso di opportunità di una Commissione europea già alle prese con la Brexit e con la rivolta dei gilet gialli in Francia. Solo che di speranza si può morire, specie quando i numeri non tornano. E su questo nessuno ha grossi dubbi. Non per nulla, alla stessa ora, il ragioniere dello Stato, Daniele Franco, offre ad un amico questa fotografia della situazione: «Il governo resta fermo su un rapporto deficit-Pil al 2,04%, ma la Ue non si fida».
La Ue non si fida, ma forse può chiudere un occhio. Non è necessario avere un Nobel in economia per comprendere che le cifre della manovra sono un esercizio di fantasia: se il governo si era attestato su quel totem del 2,4% quando si immaginava un tasso di sviluppo dell’1,5% per il prossimo anno, ora che tutti prevedono l’1%, se non meno, per mantenere in piedi tutte le compatibilità di quella manovra, si dovrebbe immaginare un 1,9% o giù di lì. Più o meno il ragionamento terra terra che fa in questi giorni il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, con l’aria di chi l’aveva detto. Ma ormai Salvini e Di Maio si sono innamorati di quel 2,04%, corredato da ciò che resta del reddito di cittadinanza e di quota 100 sulle pensioni, e non sentono ragioni. Magari per una ragione di marketing o perché quel 2,04% pronunciato da chi subisce la zeppola o il birignao può sembrare un 2,4%. «Una trovata geniale», si esalta da giorni il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, che ne rivendica il copyright.
Solo che la realtà dei numeri è spietata, non lascia margini. E i più avveduti, anche nel governo, ne sono consapevoli. Ieri, fatto singolare, il sottosegretario grillino Stefano Buffagni, si è intrattenuto a colloquio con Pier Carlo Padoan. Alla fine l’ex ministro dell’Economia del governo Gentiloni ha tracciato un quadro problematico sui meccanismi che si sono innescati nel governo. «La verità ha spiegato è che personaggi come Giorgetti, Garavaglia, Buffagni sono avvertiti dei rischi che corriamo. Anche loro sono consapevoli che mancano tre miliardi all’appello. Ma i capi politici da questo orecchio non ci sentono, non vogliono fare un passo indietro. Addirittura preferiscono che la Commissione ritorni sull’argomento a gennaio, con il rischio di una manovra correttiva in corsa. Sono stati presi da un delirio di onnipotenza, dalla sindrome del balcone, che in questo Paese in passato ha già provocato tanti guai».
Così, al gruppo degli «avveduti», non resta che fare gli scongiuri. «A noi si rifugia nell’ironia Buffagni ci piace il brivido, giochi senza frontiere. Magari tireremo fuori un jolly». Ma, nella grande confusione che segue una trattativa condotta male, gli scontenti non sono solo loro. C’è l’economista della Lega, Claudio Borghi: «Noi è il suo rimprovero non dovevamo scendere sotto il 2,2% nel rapporto deficit/Pil, così poi avremmo potuto giocare sul consuntivo. Ma se partiamo, nei fatti, dal 2% la Commissione non ci darà quei margini». E c’è il viceministro dello Sviluppo, Dario Galli, che a questo punto con la commissione giocherebbe duro. «Se Bruxelles vuole il 2% – si infervora e non il 2,04, diamoglielo, dicendoci che ci fanno pena. Anche perché poi i conti si vedranno nel consuntivo che non arriverà prima del 2020. E a quel punto a Bruxelles non ci saranno personaggetti come Juncker, Moscovici, o quel Dombrovskis che fa la voce grossa quando rappresenta un Paese che dà appena 200 milioni alla Ue. No, nel 2020 ci sarà un’altra Europa e, magari, in Commissione ci sarà Salvini. Perché non abbiamo accettato l’1,9% che ci chiedeva la Ue e giocato la partita tutta sul consuntivo? Perché, come sull’immigrazione, Salvini doveva dimostrare alla gente del bar che sa fare la voce grossa con la Ue. E nelle urne il voto di un cliente del bar vale quello di Monti».
E già, tra i gialloverdi si parla di consuntivo, di Juncker che va ai giardinetti, di Salvini che approda in Commissione nel 2020 ma, paradossalmente, nessuno difende i numeri della manovra. Neanche loro ci credono. «Il problema spiega Cinzia Bonfrisco, approdata alla Lega in Senato ma con alle spalle 20 anni di esperienza in Commissione Bilancio è che con il 2,04% il reddito di cittadinanza e la Commissione gioca con noi come il gatto con il topo. Magari poi dirà anche di sì. Oppure Conte per far digerire a Salvini e Di Maio un altro passetto indietro minacciando le dimissioni».
Di certo, quell’accordo che il Mef ha annunciato e trova un Palazzo Chigi ancora prudente, non si farà sulla matematica. Magari ci saranno altre ragioni, promesse, opportunità. «Voglio vedere azzarda Guido Crosetto, altro veterano delle leggi di Bilancio che numeri daranno, perché con tutta la buona volontà non tornano. Per cui o il governo si rimangia ancora qualcosa; o riuscirà ad organizzare la stangata, per ricordare il celeberrimo film di Paul Newman, dando dei numeri ora per allargarli poi nel consuntivo. Ma sarebbe una stangata annunciata».
IL GIORNALE
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