Luciano Violante sul caso Diciotti: “Ma non è il solito conflitto fra giustizia e politica”
La legge sui reati contestati ai ministri prevede che la Camera di appartenenza del ministro possa bloccare il corso del processo se riconosce che esiste una “causa di giustificazione”, se il suo atto risponde a un interesse politico generale. Quindi, in questo caso, chi vota perché il processo si blocchi riconosce una giustificazione e dunque condivide la politica del ministro. Chi invece non riconosce la causa di giustificazione vota perché il processo vada avanti e quindi non condivide la politica del ministro. Naturalmente votare perché il processo prosegua non vuol dire votare per la condanna. Vuol dire che non c’è causa di giustificazione. Poi Salvini potrebbe essere assolto nel merito.
Cioè lei sta dicendo che non fa una piega il ragionamento di Salvini nella sua lettera al Corriere: “C’è stato interesse pubblico, per questo va negata l’autorizzazione”.
È più dell’interesse pubblico semplice. È un qualcosa che risponde a un interesse superiore della Repubblica. Sia chiaro: io non condivido le politiche sulla immigrazione di questo governo, però Salvini ha ragione: se non riconoscete questa giustificazione, non riconoscete le scelte politiche compiute dal governo. E questo ha delle conseguenze politiche inevitabili. Il punto è questo: non c’è un conflitto tra magistratura e politica, ma un potenziale scontro tutto politico all’interno della maggioranza.
Dunque, lei non vede in questa storia un ennesimo capitolo della Repubblica giudiziaria come dice Panebianco, o l’ennesimo capitolo di una politica che non vuole farsi processare: una procura che indaga il ministro dell’Interno, il ministro dell’Interno che si attacca i giudici e si sottrae al processo…
Qui, insisto, il problema è diverso. Il conflitto c’è quando lo scontro non è risolubile con le regole. Qui lo scontro è perfettamente risolubile. La maggioranza può stabilire se si procede o meno. Il Senato potrà bloccare il processo e tutto finisce in quel momento. La politica non è con le spalle al muro; ha gli strumenti per rivendicare la propria sovranità.
La responsabilità penale è individuale. E questo, è assodato. Le chiedo: quale è il confine, in una azione di governo, tra la responsabilità individuale e quella collettiva, dunque politica, di un governo?
Beh, non si processa il governo, ma i singoli ministri. Se il Senato dice che non esiste la causa di giustificazione, a rigor di logica la responsabilità si dovrebbe estendere a tutti quelli che hanno deciso la scelta.
Dunque questa storia non c’entra nulla col berlusconismo.
Esatto, nulla. Quel conflitto si innestava su comportamenti non ministeriali, ma di un leader che, pur avendo un rilevante ruolo pubblico, li aveva commessi come privato cittadino. Quello di Salvini è un comportamento ministeriale. Allora la questione era nelle mani della magistratura ora è nelle mani del Senato.
Insomma, la mossa di Salvini è azzeccata dal suo punto di vista.
È una mossa intelligente, lucida. Non dice: non voglio essere sindacato perché i giudici sono comunisti, ma prova a ribaltare un meccanismo che lo vuole succube dicendo agli alleati: voi condividete o no questa politica che avete scelto con me? Svolge un ruolo politico.
All’inizio aveva detto: processatemi.
Evidentemente gli hanno spiegato le cose.
È complicato lo stesso per un Movimento, come i Cinque stelle che ha teorizzato, sempre e comunque, insisto sulla metafora che i leoni dovessero stare sul trono. È una nemesi storica.
Scontano una mancanza di esperienza. Il tema è semplice: condividono o no queste scelte ? Se le condividono bloccano il processo.
Processateci tutti, è come dire non processateci.
Vuol dire che deve prevalere la clausola di giustificazione
Ecco perché secondo me questo caso è paradigmatico. Quando sei all’opposizione è facile invocare il governo dei giudici. Quando sei al governo tu è più complicato, perché il governo sei tu. Io in questa storia vedo anche il travaglio di una politica che si vuole riappropriare della propria autonomia.
Forse. Io vedo il travaglio di una maggioranza numerica che non ha un programma comune e quindi stenta a costituirsi come maggioranza politica.
Lei come giudica questa inchiesta?
Il provvedimento di Catania mi sembra serio e ben motivato.
Perché il diritto di soccorrere è sempre prioritario.
Nell’ambito del nostro sistema di valori, costituzionali ed europei, sì.
Questa vicenda del tribunale dei ministri può portare qualche conflitto di attribuzione?
No, perché se il Senato decide che non si può andare avanti, finisce lì.
C’è però un punto, presidente Violante. Salvini dice che ha rispettato il suo mandato politico ed elettorale. Ed in nome di questo si sottrae al processo.
È un punto delicato. Un leader nella campagna elettorale può anche proporre la pena di morte. Questa impostazione mette in primo piano il tema della prevalenza della politica rispetto alle regole.
Anche in questo caso viene in mente Berlusconi.
È un tempo diverso. Questa maggioranza si presenta più che come rappresentante morale che come rappresentante politico del paese, nell’ambito di una alternativa tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, non tra ciò che si può fare è ciò che non si può fare sulla base delle leggi e dl bilancio.
Quello che dico io, siccome ha il consenso del popolo, è giusto.
Esatto, quello che io dico è giusto perché il popolo l’ha condiviso. Questo passaggio fa saltare il meccanismo dello Stato di diritto. È il vero problema che pone questa maggioranza: il rapporto tra politica e regole. C’è una tendenza a scavalcare le regole in nome del mandato elettorale. Il populismo è una cosa seria, è un metodo per affrontare i problemi politici. Quello che conta è il primato del capo, in quanto incarnazione del suo popolo. È tutto legittimo ciò che faccio in nome del popolo. Mi hanno eletto, lo sto facendo, ed è legittimo. Altro che crisi della politica, è una fase iper-politica.
Come voterebbe se fosse in Senato?
Io non condivido la politica di Salvini sull’immigrazione. Dunque non condivido la clausola di giustificazione.
L’HUFFPOST
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