Investimenti cinesi, i perché della frenata
La riduzione generale di interventi in Occidente ha più ragioni: le restrizioni dovute ai controlli di capitale imposti dalle autorità di Pechino a causa di massicce fughe di capitali, la necessità di ridurre gli alti indebitamenti delle imprese e in parte i limiti alle acquisizioni cinesi decisi soprattutto da Washington. L’anno scorso, gran parte degli investimenti europei dell’ex Impero di Mezzo (il 45%) sono andati alle tre maggiori economie della Ue: nel Regno Unito (4,2miliardi di euro), in Germania (2,1), in Francia (1,6). Ma in misura notevole hanno interessato la Svezia (3,4miliardi) e il Lussemburgo (1,6). Interessante notare che, sempre nel 2018, del totale degli investimenti solo il 41% è arrivato da imprese controllate dallo Stato cinese, rispetto al 71% dell’anno prima. La frenata segnala che la spinta espansiva di Pechino incontra ostacoli interni — dati da alcune fragilità del sistema — ed esterne, soprattutto reazioni politiche non solo in America ed Europa ma anche in Paesi già molto coinvolti nella Belt and Road Initiative, come Pakistan, Malesia, Sri Lanka, finiti o timorosi di finire nella «trappola del debito» rappresentata dai prestiti di Pechino per finanziare infrastrutture. I piedi di Xi non sono forse sempre d’argilla, ma non sono nemmeno ben piantati sul terreno.
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