La sentenza di Messina è una vergogna per lo Stato
La Corte d’Assise scrive ufficialmente che lo Stato si è arreso, che contro la violenza maschile sulle donne nulla può essere fatto. In queste ventuno pagine di motivazione della sentenza, che impone agli orfani di Marianna Manduca di restituire il misero risarcimento riconosciuto in primo grado, è scritto che a nulla sarebbe valso sequestrare il coltello all’assassino, perché “dato il radicamento del proposito criminoso e la facile reperibilità di un’arma simile” costui non avrebbe desistito. E’ scritto nero su bianco che neppure mandarlo a chiamare, ammonirlo, interrogarlo – si poteva e si doveva di certo fare, anche se la legge sullo stalking ancora non c’era – avrebbe aiutato Marianna: non “avrebbe impedito l’omicidio della giovane donna”. Neppure perquisire la sua casa, accertare se Marianna diceva il vero, secondo i giudici di Messina avrebbe avuto effetto: “l’epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato”. La Corte d’Assise d’appello ha sposato in pieno la tesi dell’Avvocatura dello Stato che ha ricorso contro la sentenza di primo grado nel 2017. Un ricorso presentato a nome della Presidenza del Consiglio, contro una sentenza che invece era giusta, anzi doverosa. Una sentenza che aveva sollevato i cuori di molti, che aveva mandato alle donne e agli orfani di femminicidio un messaggio importante, anzi fondamentale: chi denuncia la violenza e la persecuzione ha pieno diritto alla protezione delle istituzioni, e quando le istituzioni mancano al loro dovere violano la legge. Le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi che restano orfani di madre, perché lo Stato non ha saputo proteggere quella famiglia, hanno diritto a essere risarciti, sostenuti, aiutati, considerati figli di tutti.
In Italia abbiamo ottime leggi, lo dico con orgoglio: fuori e dentro il Parlamento donne e anche uomini consapevoli di quale piaga sia la violenza sulle donne hanno combattuto, si sono uniti per ottenerle. Ma questa squallida storia dimostra che le leggi restano lettera morta senza una rivoluzione culturale, una profonda mobilitazione delle coscienze, se per motivi culturali – gli stessi che sono alla radice della violenza – le norme non sono applicate e la Convenzione di Istanbul non viene rispettata, così come impone la Costituzione all’articolo 117, così come ci ha ricordato la Cassazione nel 2016.
Devono essere proprio le istituzioni, il Governo, il Dipartimento Pari Opportunità, e naturalmente il Parlamento, a muoversi con decisione e convinzione. A fare comunicazione sociale, educazione capillare, formazione, sensibilizzazione, a sostenere ovunque con somme adeguate i Centri Antiviolenza. Oggi dovrebbe aver vergogna, la Presidenza del Consiglio, dell’esito del ricorso dell’Avvocatura dello Stato contro gli orfani di Marianna Manduca. Dovrebbe aver vergogna chi, nel Governo, ha promesso e poi ha negato il sostegno per le famiglie affidatarie degli orfani “speciali”, come li chiamava la professoressa Anna Baldry che ci ha recentemente lasciati, e che molto ci mancherà.
L’HUFFPOST
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