Mille miliardi di sterline in fuga da Londra: la Brexit senza accordo mette paura alle banche

Manifestazione davanti al Parlamento di Londra. Jack Taylor/Getty Images

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Per garantire il “business as usual” e continuare a servire i clienti all’interno dei confini comunitari, banche, società di investimento e assicurazioni considerano Dublino la meta preferita per trasferire operazioni e staff. In ogni caso, cresce la popolarità di altre destinazioni, come Francoforte, Lussemburgo e Parigi, che hanno attratto nuove aziende, capitali e personale. Il Brexit tracker di Ey segnala anche altre località d’interesse, come Amsterdam, Madrid, Milano e Bruxelles: possibili approdi per non perdere l’accesso al mercato dell’Unione europea.

“Una prolungata incertezza porterà indubbiamente al trasferimento di più asset e dipendenti dal Regno Unito e non necessariamente nell’Ue” commenta Omar Ali, analista di Ey. E lo spostamento di personale in altri stati europei avrà anche un effetto sul piano fiscale. Si tratta infatti di 7 mila posti di lavoro altamente specializzati e molto ben retribuiti, con una soglia minima di stipendio pari a 150.000 pound, che si potrebbe tradurre in una perdita di tasse, e quindi di entrate per l’erario, di circa 600 milioni di sterline.

La premier britannica Theresa May – JOHN THYS/AFP/Getty Images

In sostanza, le società finanziarie hanno portato allo step successivo i loro piani di emergenza in caso di Brexit senza withdrawal agreement (o hanno annunciato di farlo). E anche se il 21 marzo scorso i leader dell’Ue a 27 hanno accettato di concedere una proroga al governo di Londra per agevolare una separazione negoziata, questa intesa non permette di evitare con assoluta certezza lo scenario peggiore.

Come si legge nelle conclusioni del Consiglio, la proroga al 22 maggio 2019 è infatti condizionata all’approvazione dell’accordo di recesso alla Camera dei Comuni entro la settimana. Se non dovesse passare, la proroga sarà valida fino al 12 aprile, e il Regno Unito dovrà indicare prima di questa data il percorso da seguire. Il tutto considerando che l’accordo di recesso, già bocciato due volte dal Parlamento inglese, non potrà essere riaperto e ridiscusso. A quel punto, come sottolinea anche la premier in una sua lettera ai parlamentari britannici, si riapre la strada del divorzio brutale.

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