Ancora una batosta per May: ora la questione Brexit passa nelle mani del Parlamento
In ogni caso la premier, cocciutissima come sempre, va avanti. Non sono bastate le voci di un golpe nel weekend da parte del vicepremier Lidington e del ministro dell’Ambiente Michael Gove, non è bastato il fatto che gli euroscettici del suo partito e gli (ex?) alleati unionisti nordirlandesi hanno detto per l’ennesima volta che non appoggeranno il piano May sulla Brexit (ed è per questo che la premier stenta ancora a ripresentarlo in aula per la terza volta, forse se ne riparlerà giovedì) e non è bastata nemmeno la prima pagina del Sun, giornale tabloid che ha sempre sostenuto la premier ma che oggi titolava a caratteri cubitali in prima pagina: “Theresa, il tempo è scaduto, devi dimetterti”. Invece a dimettersi sono stati il sottosegretario al Business Michael Harrington, quello agli Esteri Benn e quello alla Salute Brine che hanno votato per l’emendamento Letwin.
May invece va avanti, fino alla fine. Ma la fine, cioè il 12 aprile, è vicina e se entro quella data non ci sarà un accordo, si dovrà chiedere per forza di cose all’Europa un ulteriore rinvio oppure si dovrà uscire brutalmente con il No Deal, cioè senza accordo, con conseguenze potenzialmente pesantissime per l’economia. Ieri l’Ue ha detto di aver completato i piani di contingenza in caso di questo scenario estremo, il Regno Unito invece da dicembre ha accelerato ma non è ancora pronto. May poi ieri prima ha detto che il No Deal “verrà evitato in ogni caso visto il voto recente del Parlamento contro l’uscita senza accordo”, poi dopo pochi minuti si è contraddetta: “Resta l’opzione automatica di default, se non c’è un accordo”. Di fronte a questo assoluto “nonsense” i suoi portavoce ieri a Westminster si arrampicavano sugli specchi. L’ennesima prova che il caos regna sovrano a Londra.
REP.IT
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