Il Pd secondo… Zingaretti
“Era un risultato che ci si aspettava abbastanza, vincere era molto complicato per condizioni politiche generali e locali”, dichiara all’HuffPost Lorenzo Guerini, che prova a smorzare ogni bollore. “Certo, non può bastarci arrivare secondi, ma nessuna polemica, c’è molto lavoro da fare per parlare al Paese e per costruire l’unità del partito”. Certo, l’ex vicesegretario di Renzi non si aggiunge a chi prova a cantare vittoria per i primi segnali di ripresa: “Non mi abbatto, né mi esalto, ma nessuno scontro”. E “nessuna scorciatoia: c’è bisogno di costruire le condizioni per non lasciare i ceti moderati produttivi a Salvini guardando solo alla nostra sinistra, c’è da capire con chi vogliamo parlare”.
Così al neo-segretario non resta che archiviarla la ‘non sconfitta’ in Basilicata e convocare la sua prima direzione per domani al Nazareno dove chiederà – senza streaming – un mandato chiaro sulle alleanze, in vista di Europee, Piemonte e amministrative del 26 maggio, e proverà a fare un bilancio del voto lucano, arrivato ad appena una settimana dalla sua proclamazione dell’Ergife.
Risultato che arriva dopo altre cinque test regionali falliti, e che ovviamente non può ricadere sulla gestione appena partita, è figlio innegabile della debolezza del brand Pd, che a forza di essere nascosto tra le liste di questo embrionale (o terminale?) centrosinistra diffuso, rischia di costituire il vero problema della “lista nuova” con “un programma di un grande rinnovamento” che vuole Zingaretti.
Perché se è vero che quello di cui c’è bisogno è “riunire, rinnovare e allargare”, perché se è vero che, passato dal 26% delle politiche del 2018 al 33% di domenica, “il popolo di centrosinistra c’è”, è altrettanto vero che, una volta esaurita l’esperienza gialloverde, e “il riproporsi di un nuovo bipolarismo”, nessuna alternativa al governo più probabile di centrodestra è possibile senza il rilancio del marchio che dovrebbe trainare l’eventuale coalizione.
E la questione va al di là del logo per le Europee, che verrà presentato nei prossimi giorni, e va persino oltre le alleanze (per le amministrative con Leu, Italia in Comune, Democrazia Solidale e Più Europa, per le Europee con Siamo Europei di Calenda allargata alle realtà civiche e sociali), ma richiede l’attesa inversione di rotta politica dopo la stagione renziana, per andare oltre lo choc del 18% del 4 marzo, e rendere solido il presunto 23,1% ottenuto in Basilicata sommando le 4 liste civiche collegate e di ispirazione democratica in grado di battere il M5s fermo al 20,40% e la Lega al 19,19%. Passare dall’ispirazione alla realtà, insomma.
Compito non facile, ma sicuramente non ostacolato – per ora – dalla migliore tradizione di famiglia, ossia dalla capacità dei dem di dividersi fieramente e sanguinosamente al loro interno. Va detto infatti che nemmeno negli scenari migliori possibili per il successore di Renzi era pensabile che l’ex rottamatore invece di inquinare i pozzi si limitasse a postare foto della bilancia comprovante la perdita di peso.
E che, conseguentemente, le sue truppe, al netto dei suddetti “giachettiani”, non proferissero verbo troppo minaccioso. Dei toni non bellicosi di Guerini abbiamo scritto. Non una parola a caldo da Lotti che preferisce non commentare – e di cui anzi va ricordata la recente intervista a Repubblica in cui ribadiva afflati unitari – ne’ di Boschi o di Martina, l’altro competitor alla segreteria. Nei giorni delle composizione delle liste alle Europee, il “nessuna guerra a chi vince” del loro leader sembra per ora estendersi al “nessun guerra a chi non vince”.
L’HUFFPOST
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