Flat tax, Alitalia, Iva: i conti che non tornano e le promesse del governo
di Ferruccio de Bortoli
Per fortuna non si parla più di uscita dall’euro. La corrente numismatica del governo e della maggioranza sembra aver riposto nel cassetto dei ricordi la nostalgia della lira. O perlomeno ne pratica un culto discreto, quasi esoterico. Una passione vintage. Ma la trappola della memoria non risparmia — è il caso di usare questo verbo — nessuno. Del resto, tutto ciò che è simbolo di una giovinezza perduta esercita un fascino irresistibile. Nei giorni scorsi mi è stata regalata una moneta da mille lire. Non me la ricordavo più. Ebbe una diffusione molto limitata sul finire del secolo scorso quando l’euro stava per nascere. Circolò insieme alla banconota da mille lire. Assomiglia alle vecchie cinquecento lire e un po’ alla moneta da due euro. Mi sono quasi commosso nell’averla tra le mani. E non credo che mai guarderò una moneta da cinquanta centesimi — più o meno alla pari al cambio euro-lira — con lo stesso trasporto. Se il valore è solo nei sentimenti potrei commuovermi persino per gli assegnini — quasi carta straccia a volte misera, lurida — che per breve tempo infestarono le nostre tasche. Era uno scandalo. Una figuraccia internazionale. Eppure eravamo nel pieno della sovranità che alcuni rimpiangono. La sovranità di dimostrarci incapaci persino di produrre gli spiccioli. I sentimenti non hanno un valore di mercato. Non hanno un tasso di cambio. Bisogna ammettere che in quanto a immaginazione l’attuale maggioranza non è seconda a nessuno. La moneta del desiderio è come l’albero del pane. Non lesina i suoi frutti. Siccome non si possono emettere tutti gli euro di cui avremmo bisogno, come molti sognerebbero di fare senza indebitarsi, li coniamo con il pensiero libero. In assenza di gravità economica.
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