Shakeaspeare in Brexit. Intervista allo scrittore Jonathan Coe

La Gran Bretagna versa in uno stato di grande incertezza e instabilità politica, una sensazione molto strana per noi. Personalmente mi fa sentire inquieto, come succede a tante altre persone: nelle ultime settimane la gente ha dichiarato di soffrire di “ansia da Brexit”, di sentirsi stressata, di avere difficoltà a dormire, eccetera. Tuttavia, questo vale solo per quanti ne hanno seguito l’iter da vicino. Ho il sospetto che, per la maggior parte dei cittadini del paese, pur avendo votato a favore, la Brexit non sia più un argomento di grande interesse. Non si rendono conto di quanto sia difficile uscire dall’UE senza causare un enorme danno economico e politico. Si sono sentiti dire che sarebbe stato un processo semplice e ci credono ancora e continuano a dire ai politici di “andare avanti”, benché ogni giorno le notizie ricordino loro che si tratta di un’impresa impossibile.

Cosa significa di preciso “Middle England”?

Anche se nel mio romanzo, la “Middle England” corrisponde al centro geografico della nazione (Birmingham e le zone circostanti), in realtà per “Middle England” s’intende uno stato mentale: conservatore, isolazionista, retrogrado, sospettoso verso gli stranieri. È uno stato mentale che si ritrova anche in altri paesi europei, non solo nel Regno Unito.

In una recente intervista per il Guardian ha detto che il Regno Unito, descritto nel romanzo è un “paese in cui si ha l’impressione di non andare d’accordo su nulla; siamo molto tribali e radicalizzati”. Quali sono le radici di una situazione del genere? Da dove nasce questa tendenza?

Oggi faccio risalire tutto agli anni ’60, agli albori delle politiche identitarie. Da allora, ci siamo concentrati sulle nostre differenze invece di concentrarci su ciò che ci accomuna. Certo, ci sono stati passi avanti enormi e necessari, nella conquista dei diritti delle donne, delle minoranze etniche, dei gay, e così via. Credo che in questo momento ci troviamo di fronte alla mancata accettazione della perdita dei propri privilegi da parte di quanti non appartengono a quelle minoranze.

Il voto sulla Brexit è stato conseguenza o causa di questa polarizzazione?

Una conseguenza.

La polarizzazione nutre il populismo? Rabbia e populismo sono necessariamente collegati? Insomma, può esistere un “buon” populismo?

Non credo più nell’esistenza di un “buon” populismo. Ciò che caratterizza il populismo è l’offerta di soluzioni facili. Ma ogni problema che il mondo si trova ad affrontare oggi è complesso, sfaccettato, indistinto e ambiguo. Pertanto le soluzioni del populismo non potranno mai funzionare, ma rappresentano soltanto una pericolosa distrazione.

Dal Regno Unito, qual è la sua percezione del panorama politico italiano? Cosa pensa dell’esperienza Lega-movimento 5 stelle?

Non ho osservato da vicino la scena italiana, quindi non posso commentare in maniera dettagliata. Il movimento 5 stelle è un esperimento interessante e posso comprendere il desiderio di coinvolgere persone che non provengono dalla classe politica di carriera. Ma la competenza è pur sempre un requisito.

Lei ha passato molto tempo su Twitter; sembra che i social rivestano un ruolo importante nell’aumento della polarizzazione tra le persone… Lei è d’accordo, o crede sia un punto di vista troppo pessimistico?

Ho avuto Twitter per circa cinque anni ed è stata un’esperienza affascinante. Fa sembrare molto lenti i media convenzionali – TV, radio, giornali. Ma incoraggia anche aspetti pericolosi: un’inclinazione a formulare giudizi frettolosi, avventati, e un desiderio di urlare più forte per farti sentire. Nelle nostre conversazioni c’è sempre più bisogno di sfumature e compromessi, e spesso i social lo rendono difficile.

Da scrittore, come vede gli attori di questo dramma che è la Brexit? May e Corbyn sono in grado di gestire una fase così delicata? Stanno cambiando (e in che modo) in questa lunga trattativa?

La Brexit somiglia a un dramma shakespeariano, in cui Theresa May e Jeremy Corbyn sono i principali attori tragici. È difficile immaginare due leader politici più inadeguati di loro a gestire la crisi attuale. Theresa May è testarda, per niente incline al compromesso, reticente e poco comunicativa. Jeremy Corbyn è un antiquato euroscettico di sinistra ritrovatosi a guidare un partito internazionalista che dovrebbe opporsi alla Brexit. Credo che nessuno dei due sia in grado di cambiare – e questo è uno dei maggiori problemi di tutta la faccenda. Per i giovani è più facile cambiare idea rispetto ai più anziani, dopotutto, e sarebbe bello se al comando ci fosse qualcuno che abbia meno di sessant’anni – magari anche persone tra i venti e i trenta!

Lei ha affermato che il paese ha bisogno di un leader capace di “riunificare” il Regno Unito. Vede qualcuno nell’imminente futuro?

Nel Regno Unito abbiamo politici di talento. Molti di loro sono donne e laburiste. Gente come Stella Creasy e Jess Phillips. Ma non hanno incarichi di governo, quindi per il momento non hanno la possibilità di rivestire un ruolo di leadership. Spero che le cose cambino. Il talento c’è, ma la vecchia generazione non gli lascia spazio. Chi ci ha deluso deve farsi da parte.

Come uscire dalla Brexit? È possibile?

Al momento, in Gran Bretagna non è possibile prevedere cosa succederà da qui a un paio di giorni. Non ho idea di cosa ci aspetta. Nel Regno Unito ci sono milioni di persone che non hanno mai voluto lasciare l’UE, ma le loro voci restano inascoltate. Persino l’imponente manifestazione pro-UE svoltasi a Londra qualche settimana fa è stata in larga parte trascurata dai media britannici. I media e i politici sono ipnotizzati dal concetto di “volere del popolo” (in realtà si tratta di un’esigua maggioranza di quanti hanno votato quel giorno del 2016, quasi tre anni fa) ed è difficile dire in che modo la situazione può cambiare – tranne, forse, ricorrendo a un altro referendum.

L’HUFFPOST

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