La recessione entra nelle buste paga: “Fermi i bonus, stipendi al palo. Soffre anche il Nord”
Il fatto che si stiano ora comprimento, fa pensare che le aziende abbiano iniziato a stringere i cordoni della borsa e che probabilmente a livello di performance il clima sia cambiato. Frena il pessimismo Giuseppe Guerra, Executive Director di Spring Professional: “Si tratta di scostamenti ancora troppo limitati per essere apprezzabili sul lungo periodo. Parallelamente sono intervenuti nuovi pacchetti di benefit collaterali difficilmente valorizzabili che incidono sulla retribuzione. I pacchetti incentivanti legati al risultato del singolo caratterizzeranno sempre di più le retribuzioni a tutti i livelli” .
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Per altro, nota il report, l’anno scorso l’indicatore Istat sulle retribuzioni contrattuali era in rialzo dell’1,1 per cento; se si affianca questo dato a quello – negativo – del JobPricing si può dedurre che buona parte degli incrementi retributivi che sono stati fissati nel contratto siano stati “assorbiti” sul mercato. “Gli aumenti stabiliti dai contratti collettivi – si legge – risultano meno efficaci nell’incremento di reddito a causa della crescita dell’occupazione part-time: secondo ISTAT infatti, nei primi 3 trimestri del 2018 i part-time involontari (relativi a coloro che non hanno trovato un’occupazione stabile), sono aumentati del 4,5% rispetto ai medesimi 3 trimestri del 2017”. Di fatto, quel che viene fissato nella contrattazione non si ‘scarica’ sulle buste paga.
E “visto che i prezzi sono aumentati (+1,1%) di fatto il 2018 ha visto
il potere di acquisto dei lavoratori diminuire”, commenta il ceo di
JobPricing, Alessandro Fiorelli. “Il dato più significativo, in questo
contesto generale, è che il trend peggiore ha riguardato il motore del
paese: le regioni del Nord, compresa la zona di Milano (-0,8% per la
RAL, ndr) e la Lombardia (-0,7%). Anche dal nostro punto di
osservazione, quindi, non pare infondato il recente invito del vertice
di Assolombarda per una revisione della Manovra 2019, che si concentri
soprattutto su misure a favore dell’abbattimento del cuneo fiscale dei
lavoratori”.
In un clima generale tendente al grigio, l’Outlook rileva infatti che l’ultimo anno ha lievemente ridotto la distanza tra Nord e Sud: tenendo sempre ben presente la differenza nel costo della vita, si può comunque osservare che nelle aziende settentrionali gli stipendi sono il 15 per cento migliori che al mezzogiorno, anche se nell’ultimo anno tra Sud e Isole i salari sono cresciuti del 2 per cento, contro il -1,5% del Nord. Non stupisce quindi vedere che il podio delle Regioni che pagano meglio è composto da Lombardia, Trentino Alto Adige ed Emilia Romagna e che in fondo ci sia la Basilicata. Per un dirigente, le maggiori soddisfazioni arrivano proprio dalla Lombardia (102.673 euro, 1.577 euro in più della media nazionale), mentre gli operai del Trentino (con la loro media di 26.645 euro) staccano dell’8 per cento la media italiana.
Resta però forte la sperequazione delle retribuzioni. Sia all’interno delle società, dove i vertici arrivano a guadagnare dieci volte più dei profili meno pagati, sia come popolazione lavorativa in genere: i redditi sopra 100mila euro sono l’1 per cento del totale, il 56 per cento sta tra i 23mila e i 31mila euro. Venendo infine alla questione settoriale, i servizi finanziari e l’agricoltura sono i due poli: nella prima industria si superano i 41mila euro di Ral media, contro i 24mila del settore primario. Il trend migliore l’hanno registrato le buste paga delle Utilities, con una crescita dello 0,9 per cento, mentre la crisi dell’edilizia che non riesce a uscire dal tunnel porta gli stipendi a tagliarsi ancora dello 0,9 per cento.
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