Flat tax e il fantasma della classe media

Ora, mettiamo un attimo da parte il problema delle coperture, visto che si tratterebbe di una spesa di almeno 15 miliardi di euro da aggiungere ai 23 miliardi da reperire l’anno prossimo per disinnescare l’aumento dell’Iva – cosa che farebbe partire la Finanziaria già da un livello monstre di 38 miliardi di euro e non a caso Tria ha alzato un muro preventivo in vista dell’autunno. Tralasciamo quindi le implicazioni di finanza pubblica e i rapporti con gli “euroburocrati” di Bruxelles. Concentriamoci invece sugli effetti della misura. Davvero una mini flat tax può risolvere o quanto meno mitigare lo scivolamento verso l’impoverimento della classe media italiana? Difficile se non impossibile. Prendiamo l’ultimo modello che – stando alle indiscrezioni – non dispiacerebbe a Salvini e Di Maio: tasse al 15% per i redditi fino a 50mila euro lordi. La cosa non funziona. Intanto perché probabilmente verrà finanziata – come confermato dall’ideatore della “tassa piatta” all’italiana ovvero il leghista Armando Siri – andando a sfoltire le agevolazioni fiscali ovvero quel coacervo di deduzioni e detrazioni che alla fine già alleggeriscono la dichiarazione dei redditi di ciascuno di noi. Ma soprattutto perché si individuerebbe una soglia che separa la famiglia media da quella benestante/ricca abbastanza arbitraria: 50mila euro. Ora, in maniera grossolana, possiamo dire che questa cifra lorda annua corrisponde più o meno a 2.300 euro netti al mese. Siamo sicuri che sotto questa soglia si trova davvero il ceto medio? Magari per una famiglia di provincia, con uno o senza figli, con poche spese e con una casa di proprietà, può essere vero. Ma per la stessa famiglia che vive in una metropoli, che ha una prole numerosa e che è anche in affitto, 2.300 euro al mese bastano per dare una sicurezza economica? Insomma, sparare una cifra a caso, senza aver fatto prima tutti i calcoli e le simulazioni del caso, rischia di essere né più né meno uno slogan buono per raccattare voti e poco altro. Del resto, la stessa sociologia fa fatica oggi a scomporre le classi sociali e individuare i confini del ceto medio. L’Istat ad esempio, un paio di anni fa ha di fatto “smontato” le sue tradizionali classificazioni per aggiornarle a un’Italia sempre più liquida e inafferrabile. Ma il governo gialloverde, si sa, se ne frega dei tecnici e della complessità del reale.

Inoltre lo stesso esecutivo ha fatto e continua a fare molta confusione su quale gruppo sociale privilegiare e quale colpire, spesso dando contemporaneamente bastone e carota all’uno e all’altro. Ad esempio, il blocco della rivalutazione per le pensioni che superano i 1500 euro al mese va a colpire quella constituency – i pensionati medi – che si è voluto invece agevolare con Quota 100. E che magari sono quegli stessi che fino a poco tempo fa al lavoro guadagnavano sotto quella soglia di 50mila euro lordi annui. Altra contraddizione: la Lega vuole che per i lavoratori autonomi e gli imprenditori individuali venga applicata una imposta sostituiva del 20 per cento per i ricavi che vanno dai 65mila ai 100mila euro. Tradotto: un’altra flat tax per le partite Iva. Ma chi guadagna 100mila euro lordi si può annoverare fra la classe media? O stiamo parlando di benestanti/ricchi? E quindi si vuol dare un aiuto anche a chi non ne avrebbe bisogno?

“Grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”, diceva Mao Tse-Tung. Pare che la pensino allo stesso modo anche Salvini e Di Maio. Sicuramente, finora ci hanno insegnato che la tattica dell’ammuina perenne a livello elettorale paga. Vedremo se il 26 maggio ci sarà la controprova. Certo è che intanto a incassare non sarà la protagonista di questa storia: la classe media.

L’HUFFPOST

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