Quattro proposte alle élite per battere l’ignoranza
In Italia come nell’intero Occidente le élite non godono oggi di molta simpatia. Per ragioni almeno in parte fondate: l’insuccesso nel prevedere e nel contrastare le conseguenze negative della globalizzazione, la loro chiusura e autoperpetuazione di tipo oligarchico che si esprime nella chiusura oligarchica del sistema politico e dei suoi annessi burocratici, e infine per un’altra ragione ancora più importante: per quello che è percepito come il progressivo allontanamento delle élite stesse dal sentire collettivo, come una sorta di secessione culturale dei «pochi» dai «più». Tale allontanamento effettivamente c’è stato. Da tempo le élite occidentali sono diventate sempre più cosmopolite e multiculturali nei gusti e nelle esperienze, sempre più spregiudicatamente «moderne» e prive di «pregiudizi» nei costumi e nelle idee, con stili di vita che l’ineguaglianza sociale (crescente) e le circostanze dell’epoca (l’immigrazione) hanno reso sempre più distanti da quelli degli «altri». In Italia, ad accrescere esponenzialmente l’ostilità verso l’establishment si sono aggiunte poi due patologie in particolare che stanno devastando la nostra società: da un lato la sempre più massiccia deculturizzazione legata alla crisi del sistema scolastico, e dall’altro la finta acculturazione democratica della Rete. Grazie a entrambe chiunque crede di sapere tutto di tutto sentendosi poi autorizzato a dire la sua su qualunque cosa, convinto che la propria opinione valga come quella di chiunque altro. È di tali patologie in particolare che si è fatto forte quella cosa che chiamiamo populismo: al fine di delegittimare l’idea stessa di élite, in tal modo aiutando la diffusione di un vasto e crescente plebeismo culturale.
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