Savona senza Savona

La cifra di questi movimenti non ha ancora un punto di caduta finale ma sicuramente tratti distintivi. Nasce da esigenze di consenso, che si tirano dietro la necessità di approntare lo sfondamento per non tradire il proprio elettorato. E passano anche per il tentativo di avere il peso decisivo e definitivo in un governo che ha dentro il premier e il ministro dell’Economia, a loro volta frontman di un’area moderata, che va da Moscovici a Draghi, al Quirinale.

Mettendo in fila i movimenti che arrivano dal Carroccio negli ultimi giorni si evince che qualcosa sta succedendo. Vuoi perché la partita con la Commissione europea sulla procedura d’infrazione è arrivata allo snodo decisivo, vuoi perché bisogna iniziare a scrivere la manovra d’autunno, vuoi ancora perché se e quanto l’Europa cambierà dopo il voto del 26 maggio è un passaggio altrettanto caldo. E l’economia, in questo scenario, gioca un ruolo di primo ordine. Non è il disegno organico dell’Italexit, messo nero su bianco nella prima bozza del Contratto di governo, non è la teorizzazione pura del cigno nero. E’ qualcosa di più destrutturato, che prende forma a pezzi, ma che c’è. Una tendenza che anima i ragionamenti degli uomini economici della Lega, da Bagnai a Claudio Borghi, rilanciata sul fronte politico dal frontman Salvini. 

Il nome di Bagnai è in pole per la casella di ministro agli Affari europei. La Lega spinge per riempirla molto presto. Sa già, e in questo ha il via libera dei 5 stelle, che è affare da sbrigare in casa. E soprattutto è una partita che può avere tempi rapidissimi perché slegata da ragionamenti di rimpasto puro. Ma la delega è nelle mani di Conte, che l’ha presa dopo il trasloco di Savona. Fonti di governo spiegano che il premier vuole tenerla fino a quando la partita con l’Europa sui conti pubblici non si sarà risolta. Una fonte di peso del Carroccio, però, rivela che Salvini vorrebbe chiudere la partita a strettissimo giro, già entro domenica. 

Tre fonti leghiste di primissimo livello spiegano che quella di Bagnai è una candidatura “ampiamente” condivisa dentro al Carroccio, dove si tessono le lodi e le capacità di Bagnai di essere allo stesso tempo uomo di sfondamento e abile professore, uno insomma capace di sparare a zero contro Bruxelles e allo stesso tempo di presiedere una commissione parlamentare delicata, come quella Finanze del Senato, dove l’arte politica è mansione determinante per bilanciare il tiro di disegni di legge, emendamenti, discussioni che necessitano alla fine di un punto di caduta concreto se si vogliono portare a casa i provvedimenti a cui si tiene e promessi ai propri elettori. La discussione, però, è aperta. E quello di Bagnai non è il solo nome che sta animando il confronto dentro la Lega. Ad alcuni, secondo quanto appreso da Huffpost, piace molto anche Filippo Pozzi, mandato nel 2013 da Piacenza a Bruxelles per fare da political advisor al gruppo Efd di Nigel Farage, con cui la Lega ha più che interloquito prima della rottura degli scorsi giorni. Piace perché è un profilo che ha un’esperienza europea, che è dentro i meccanismi delle istituzioni e quindi capace, anche lui, di provare a mettere in atto un’operazione di destrutturazione. Piace, soprattutto, perché ha studiato da vicino i movimenti di Farage, uno dei volti se non il volto di chi si è posto alla guida del fronte che vuole cambiare aria in Europa. 

Della partita è anche Luciano Barra Caracciolo, attuale sottosegretario agli Affari europei, voluto da Savona quando l’attuale presidente della Consob ricopriva il ruolo di ministro. Tra i suoi titoli figurano “Euro e (o?) democrazia costituzionale” e “La Costituzione nella palude. Indagini sui trattati al di sotto di ogni sospetto”. E’ uno che ha scritto sul blog anti euro Scenarieconomici.it, dove è ricordato soprattutto per un post dal titolo “Ordoliberismo e euro la lunga marcia della restaurazione”, con tanto di bandiera europea che nasconde una svastica del Terzo Reich.  Anche il nome di Barra Caracciolo conferma che al di là della scelta finale, l’identikit è ben tracciato. E’ quello di uno che deve diventare un ministro per gli Affari europei di rottura, che sia in grado di incarnare la volontà leghista di cambiamento. Un non allineato a quell’Europa che in queste ore sta intimando il governo italiano a restare dentro i binari classici delle regole europee, che passano anche per impegni puntuali e imponenti sul fronte dei conti pubblici da rimettere in sesto. 

E poi, sempre oggi, è arrivato l’annuncio dell’eurodeputato Marco Zanni: mercoledì sarà ufficializzato quello che ambisce a diventare il quarto-quinto gruppo al Parlamento di Strasburgo con guida italiana. Dentro ci saranno la Le Pen, ma anche tedeschi, danesi, finlandesi, estoni e fiamminghi”. In tutto, promette Zanni, saranno 73. 

Unendo il contenuto (i mini-Bot), la figura (Bagnai) e la trincea interna (il gruppo nell’Europarlamento) la tendenza della Lega appare evidente. Ma se e quanto si trasformerà in qualcosa di compiuto, se sarà più un tentativo di promettere di fare quello che in realtà si teme non si possa alla fine fare, è il vero interrogativo che pesa sui movimenti degli ultimi giorni. Sospeso sempre tra quei sospiri di chi, come Bagnai e Borghi, vorrebbero tentare l’assalto totale, spingendosi fino all’uscita dall’euro, e quell’ala del partito che vuole procedere per gradi ma comunque in movimento.

L’HUFFPOST

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