In Europa non si vince da soli
Il nostro governo chiede a gran voce un posto importante. Ma ha davanti a sé tre difficoltà. Deve indicare una persona competente, con esperienza, che sappia comunicare e ascoltare: sarà difficile per due forze politiche improvvisate. Deve designare un candidato che sia in sintonia con i principi ispiratori dell’Unione: sarà arduo per l’orientamento statalista del governo italiano (basti pensare alla vicenda della proroga delle concessioni marittime e lacuali). Infine, deve scegliere una persona che sappia contemporaneamente rappresentare l’Italia e agire nell’interesse dell’Unione. Come ha scritto Riccardo Perissich su Affarinternazionali, sarà difficile a forze stataliste, che non hanno ratificato l’accordo commerciale Ceta con il Canada e che manifestano simpatie per Putin, poter accedere a posti di commissario «pesanti», come quelli della concorrenza e del commercio, che richiedono di controllare gli aiuti di Stato e di promuovere gli scambi.
Ma non ci stiamo solo isolando politicamente dall’Europa, ci stiamo anche allontanando da essa economicamente. All’interno dell’eurozona, siamo all’ultimo posto. Siamo fermi da un quarto di secolo, mentre gli altri corrono. Il dualismo storico italiano, il divario Nord-Sud si accentua. Più della metà del commercio mondiale di beni e servizi fa riferimento a transazioni lungo le catene globali del valore, le filiere produttive che hanno preso il posto della fabbrica dove si produce tutto (come Ford, che produceva nel suo stabilimento anche gli pneumatici delle auto). Ora l’Istat avverte che le imprese italiane tendono a partecipare alle catene come imprese subfornitrici di beni intermedi o semilavorati, collocandosi negli stadi produttivi a minor valore aggiunto e quindi a più bassa produttività. Inoltre, se bisogna cantare nel coro, occorre esser in sintonia con altri Paesi, cosa difficile per imprese italiane, con le carenze infrastrutturali, l’assenza di tecnici, la lacunosa cultura digitale, il neocolbertismo dell’attuale governo.
Insomma, l’Italia, Paese fondatore dell’Unione, quarta nazione per dimensioni, non sa far sentire la propria voce nel coro europeo e non riesce a progredire alla velocità delle altre economie. Questo stato dei rapporti con l’Unione presenta un ultimo paradosso. La divaricazione, per cui le due forze politiche che hanno perduto le elezioni europee in Italia sono riuscite a far sentire la propria voce nell’Unione, a differenza del vincitore, prova che i sovranisti sono necessariamente contraddittori. Il grande sostenitore dell’interesse nazionale ha contribuito a disintegrarlo. Se Salvini teneva tanto ad esso, avrebbe dovuto far fronte comune con l’alleato di governo. I due partiti di governo, presentandosi disuniti, hanno contraddetto l’unità dell’interesse nazionale di cui si riempiono la bocca ogni giorno. Che l’unico italiano eletto per ora ai vertici dell’Unione sia del Partito democratico, all’opposizione in Italia, è prova che bisogna abituarsi, integrandosi, a formare maggioranze diverse e che l’interesse europeo può essere anche interesse nazionale.
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