Doveva essere una rivoluzione, non è neanche un petardo
Perché poi, quando si alimenta tutto questo mistero sui “nomi”, la verità è che i nomi non ci sono. Ci sono ipotesi, più o meno convinte, più o meno improvvisate e un alone di mistero per coprire il vuoto attorno a chi sarà il commissario europeo che spetta all’Italia. Ma non c’è, questo il punto, una strategia credibile costruita dal Governo italiano sul dossier, neanche sull’ultima nomina rimasta, l’ultimo strapuntino dopo il grande fallimento del negoziato attorno ai vertici europei, che registra l’Italia più debole e isolata. È la fotografia di un reflusso, dopo i roboanti annunci alla vigilia del voto sulla “rivoluzione sovranista” che avrebbe portato a un cambiamento radicale nella tolda di comando dell’Ue.
Adesso non c’è certezza neanche sul commissario. Quale casella, pesante o un contentino. Quale figura, tra tanti nomi che vengono fatti che non parlano neanche inglese. Ecco, la visita italiana del neo commissario Ursula von der Leyen si è rivelata, in definitiva, un semplice scambio di cortesia, più che un appuntamento negoziale vero. Perché ha trovato un’Italia smobilitata, con il premier che, con la consueta eleganza, ha sondato e chiesto garanzie, affogando in una sorta di discorso sul metodo l’impossibilità di un discorso politico, razionale, definito, supportato da una riflessione condivisa all’interno del Governo.
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