Di Maio attacca, ma Conte ridimensiona il diktat: «Luigi sta parlando alla base»

Insomma Conte nonostante le divisioni, gli ultimatum di Di Maio, conta di poter fare una mediazione che sia pronta per lunedì prossimo, quando dovrà sciogliere la riserva e tornare al Quirinale con l’elenco dei ministri. Ieri ha persino alzato la voce con la delegazione dei leghisti, arrivati a palazzo Chigi piuttosto scomposti e invocando la piazza, lo si è sentito quasi urlare che «le istituzioni vanno rispettate, nonostante tutte le forme di proteste siano legittime».

Mentre Borsa e spread accusano i colpi delle dichiarazioni di Di Maio, Conte incontra a Palazzo Chigi le delegazioni dei due partiti, Andrea Orlando e Dario Franceschini per il Pd, Stefano Patuanelli e Francesco Uva per i grillini. Continua a lavorare alla sintesi programmatica, non si lascia intimorire dalle difficoltà di una cronaca che sembra proiettarlo su un ottovolante continuo.

Di pomeriggio si reca in Vaticano per i funerali del cardinale Achille Silvestrini, che ha introdotto proprio Conte nelle gerarchie vaticane, ha un brevissimo incontro con il Pontefice, magari gli auguri per la formazione del nuovo governo, poi si rituffa negli incontri e nelle telefonate a Palazzo Chigi. La certezza è che Conte non vuole vicepremier, il nuovo piglio dell’avvocato concede pochissimo ai partiti, al Pd si lascia scappare che lui è di «centro sinistra» ma questo non significa altro. Il premier in accordo con il Colle vuole avere l’ultima parola su almeno quattro dicasteri, fra cui l’Economia, dove potrebbe essere riconfermato Tria, ma anche su Esteri, Difesa e Interni è intenzionato a decidere in totale autonomia. Con la copertura del Quirinale.

Resta insomma poco per i partiti, dal Pd Zingaretti è rimasto esterrefatto nell’apprendere che anche la casella di sottosegretario alla presidenza del Consiglio Conte vuole deciderla senza concedere nulla, scegliendo un profilo di propria fiducia, per non ripetere l’errore che fu compiuto con Giancarlo Giorgetti, il numero due della Lega che non andava affatto d’accordo con il capo del governo.

Insomma se non sarà un uomo solo al comando, Conte intende comunque compiere una metamorfosi in cui il suo potere crescerebbe a dismisura rispetto alla prima esperienza, non più mediatore continuo di due partiti, ma attuatore di un programma di sintesi con dei ministri chiave scelti da lui stesso.

CORRIERE.IT

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