Il voto in Israele è un referendum su re Bibi. Il generale Gantz in leggero vantaggio

E sì che “Bibi” le ha provate davvero tutte per dimostrarsi il più duro tra i duri: l’annessione della Valle del Giordano in caso di vittoria alle elezioni, approvazione all’ultimo minuto della costruzione di altre migliaia di unità abitative per i coloni di Giudea e Samaria (i nomi biblici della Cisgiordania), il rilancio di propositi di guerra contro il nemico iraniano e i suoi alleati in armi a Gaza (Hamas e Jihad islamica) e in Libano (Hezbollah). E fonti bene informate a Tel Aviv, arrivano a ipotizzare una operazione militare in grande stile di Tsahal nella Striscia il giorno del voto.

Come non bastasse, a due giorni dalle elezioni, il governo israeliano ha approvato la legalizzazione dell’avamposto di Mevoot Yericho, situato a breve distanza da Gerico, in Cisgiordania. La formalizzazione della procedura avverrà solo dopo la formazione del nuovo governo.

La rincorsa a destra non ha limiti. La scorsa settimana, Facebook ha sanzionato il profilo ufficiale del Likud, bloccando per 24 ore il sistema di messaggistica istantanea dell’account del candidato primo ministro, impedendogli così di pubblicare contenuti propagandistici indirizzati all’elettorato. Motivo: incitamento all’odio tramite il web causa un messaggio pubblicato questo giovedì: “Bisogna impedire che si formi un pericoloso governo di sinistra con Lapid, Odeh, Gantz e Lieberman. Un governo di sinistra laico, debole, che si basa sugli arabi che vogliono distruggerci tutti, donne, bambini, uomini, e che permetterà all’Iran nucleare di liquidarci”. Netanyahu ha detto che il messaggio sarebbe stato redatto “per errore” da un membro del suo staff. Intanto, però, il messaggio è andato in rete, per poi essere rimosso. Posizioni estreme che hanno spinto esponenti di primo piano del Likud, come l’ex ministro Benny Begin – figlio di uno dei Grandi del Likud, Menachem Begin,il primo nella storia d’Israele ad aver sconfitto il partito-Stato laburista – a dichiarare che stavolta non voterà per un partito che “neanche mio padre riconoscerebbe più, trasformato da Netanyahu in un feudo personale”.

Lo scontro va oltre la sfera tradizionale della politica. Investe gli stili di vita, il rapporto tra religione e Stato, la concezione stessa dell’identità ebraica. A farlo intendere, se ce ne fosse stato ancora bisogno, sono le decine di migliaia di manifestanti ultraortodossi scesi in strada nella giunzione Bar-Ilan di Gerusalemme, per partecipare al raduno elettorale del partito Yahadut Hathora (Giudaismo Unito nella Torah – Utj). I principali leader religiosi hanno esortato le circa 50mila persone a recarsi al voto il prossimo martedì, per contrastare il “secolarismo” dei politici che metterebbe in pericolo lo stile di vita della comunità. Secondo quanto riportato dal giornale The Times of Israel, il vice capo dell’Utj Yaakov Litzman considera il voto di domani come parte della lotta per difendere il “nostro diritto di essere ultra-ortodossi, di osservare i comandamenti, di condurre una vita di Torah e di fede”.

E così anche il voto di domani appare come una partita tra le destre. “La sinistra non è più in grado di sconfiggere l’ultranazionalismo tossico che si è sviluppato qui, la cui versione europea ha praticamente sterminato la maggioranza del popolo ebraico”, annota amaramente più autorevole storico israeliano, Zeev Sternhell, membro dell’Accademia israeliana delle scienze e delle lettere, professore all’Università Ebraica di Gerusalemme, specialista di storia del fascismo. E allora, se si vuole mettere fine all’”era Netanyahu” bisogna affidarsi a un generale: l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, leader di “Blue and White” (che ad aprile ha preso gli stessi seggi del Likud di Bibi). La sua campagna elettorale, pacata e rassicurante, e al tempo stesso “muscolare” sul tema, caro a Netanyahu, della sicurezza, è stata efficace e penetrante. In posizione “mediana” c’è Avigdor Lieberman, capo del partito ultranazionalista russofono, Yisrael Beitenu, che, di nuovo, potrà rivelarsi l’ago della bilancia. È stato proprio lui, titolare di pochi seggi strategici, a far saltare due volte di seguito il governo nei mesi scorsi, e ancora oggi non si capisce da che parte stia.

Un Netanyahu “prigioniero” dell’estrema destra non piace neanche al suo più potente e fidato alleato, oltre che amico personale: Donald Trump. Il presidente Usa sembra temere che “Bibi”, pur di non finire in galera, possa puntare dritto a una guerra con l’Iran: prospettiva che The Donald vede come il fumo negli occhi. Se fosse per lui, spingerebbe per un governo di coalizione Blue and White-Likud. Ipotesi che i vertici blu-bianchi non escludono a priori, a condizione, però, che Netanyahu rinunci alla pretesa della guida. Insomma, va bene il Likud, ma “de-bibizzato”.

“Più che di elezioni, si tratta di un referendum su Bibi. Anzi: di un referendum sui guai giudiziari di Bibi, perché, a seconda dell’esito, il premier verrà (o non verrà) mandato al confronto in tribunale”, afferma Aluf Benn, direttore del quotidiano progressista israeliano Haaretz in una intervista a L’Avvenire. Quanto agli scenari post voto, Benn la vede così: “Se Bibi dovesse riuscire a formare una coalizione di 61 seggi – necessari per la maggioranza –, il primo passo che verrà fatto dal neo-governo sarà approvare una legge che possa garantirgli di rimanere impunito. Per arrivare a questo obiettivo, il premier dovrà appoggiarsi ancora una volta agli ultraortodossi, dando loro maggior potere in tutte le sfere che hanno a che fare con l’educazione, la cultura, l’uso dei media, insomma in tutto ciò che concerne la vita quotidiana in Israele. Se invece non dovesse riuscire a creare una coalizione, e a farlo fosse Gantz (verosimilmente senza né ultraortodossi né arabi, ma con una parte del Likud senza Bibi), ritengo che Netanyahu punterà ad aprire una crisi istituzionale, a tirarla in lungo, a far saltare tutto, cercando di allontanare in ogni modo l’orizzonte dei processi in vista…”.

Moshe Yaalon è un esponente della destra moderata, già ministro della Difesa quando militava ancora nel Likud Oggi Yaalon è uno dei dirigenti di primo piano di “Blue and White”. “Non sono io che sono cambiato – dice ad HuffPost alla vigilia del voto – è il Likud che è stato trasformato da Netanyahu in un partito estremista, che divide la società israeliana, alimentando odio e discriminazioni”. Per questo Yaalon si è dimise da ministro e parlamentare. “ Purtroppo – annota – i politici di alto livello nel paese hanno scelto la via dell’istigazione alla segregazione di parti della società israeliana, invece di cercare di unificarla – sottolinea Yaalon, oggi tra i dirigenti di ‘Blue and White’ – Non posso sopportare che saremo divisi a causa del cinismo e dell’aspirazione al controllo, e ho espresso il mio parere sulla questione più di una volta, dato che sono sinceramente preoccupato per il futuro della società israeliana e il futuro delle prossime generazioni”. E questo futuro è in gioco il 17 settembre. Il futuro d’Israele. E il destino di “King Bibi”.

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