Elezioni Umbria, è subito rissa M5s-Pd sul candidato
Il castello di carte è crollato. Perché, spiegano dal Nazareno, Fora e tutto il Pd non avrebbero potuto dire di no a una discesa in campo così pesante. Tutto è rimescolato. “Dicono di no a Fora? Anche noi abbiamo detto di no a Conte, la politica è mediazione e compromesso”, spiega un dirigente Dem umbro. Le argomentazioni sono note. Fora è un corpo esterno al partito, squassato dagli scandali della Giunta uscente. È stato scelto proprio per il suo profilo terzo, le sue radici nel mondo delle cooperative che rappresentano una filiera che impiega circa il 15% della popolazione umbra, per il suo rapporto con il cardinal Bassetti e la sua anima cattolico sociale che parla a mondi con i quali da tempo il Pd fatica a interloquire. E si sottolinea l’aiuto che diede a Virginia Raggi allorché fu incaricato di fare pulizia nelle coop finite dentro Mafia Capitale.
Andrea Liberati, il consigliere regionale che Di Maio ha indicato come “capo delegazione” della trattativa, tiene la bocca cucita. Filippo Gallinella, presidente della commissione Cultura della Camera, manifesta tutto il suo scetticismo: “Mi sembra difficile che su queste basi si trovi un accordo, Fora è da giugno che sta in campagna elettorale per il Pd. Già sarà difficile spiegare ai nostri la cosa, dobbiamo stare molto attenti o rischiamo un bagno di sangue”.
Gli umori nell’entourage di Di Maio non sono così neri. Un’intesa, spiegano, si troverà. E non è un caso che Walter Verini, commissario del Pd in Regione, abbia lanciato la proposta di sedersi al tavolo e partire da un programma comune che individui le priorità per gli umbri. I 5 stelle sperano di giocarsi una carta. Paradossale da un certo punto di vista, per chi fino a un mese fa era al governo con la Lega. È quella del terzo polo, i partiti a sinistra del Pd che si stavano organizzando per correre in autonomia e che ha dato la propria disponibilità a partecipare alla coalizione civica, mettendo un paletto chiaro: “Fora deve capire se vuole essere una risorsa o un limite, dipende da lui”, ha messo in chiaro il portavoce
La volontà di Di Maio è quella di chiudere. Un primo sondaggio diffuso in giornata dà l’unione tra 5 stelle e Pd sotto di soli due punti percentuali al centrodestra, 47% a 45%. Un gap che con la sinistra si potrebbe colmare. Ma il programma di Di Maio è più vasto. Una sconfitta di misura sarebbe un viatico maggiore del solito magro risultato che i pentastellati raccolgono nelle tornate amministrative. E soprattutto sarebbe il primo mattoncino di un progetto di lungo corso per togliere il fiato all’opposizione di Salvini che vede nei successi alle prossime regionali e amministrative il grimaldello per scardinare la cosa giallorossa. L’intesa sul nome del candidato è affare dei due leader. Di Maio e Zingaretti si sentiranno nei prossimi giorni. Da tutti filtra ottimismo: una soluzione si troverà.
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