Matteo Renzi, storia dell’uomo nuovo finito a vivacchiare nella palude

di Marco Damilano

E’ la storia di un principe venuto a cambiare il sistema e finito per prosperare sulle sue fragilità. E la parabola di una conquista che finisce nelle sabbie mobili. È la palude definitiva, così come la raccontò trent’anni fa, poco prima di morire, lo scrittore Giorgio Manganelli: «Quell’uomo solo potrà conquistare la città, ma che senso avrà mai questa impresa? Quale nobiltà, quale ricchezza recherà agli annali della città la conquista della palude? Crede forse che questa città sia posta in un luogo strategico, così da dare accesso, o negarlo, a ulteriori conquiste? In verità, non v’è nulla alle nostre spalle, e chi avrà conquistato questa povera urbe, non troverà, oltre a questa, che il vuoto; non già il deserto che fa sperare che oltre vi sia qualcosa di meritevole di essere vissuto, ma il vuoto, una delle tante forme del niente, neanche la più lussuosa e divertente…».

Era chiamato a essere vento, non palude. Sembrava destinato a prendersi l’urbe e l’orbe, come un Napoleone piombato dal contado, a bordo di una smart al posto del cavallo bianco, al momento di valicare il Gran San Bernardo, come lo aveva dipinto Jacques-Louis David.

E invece ora è ridimensionato al ruolo di Ghino di Tacco di Rignano o di Pontassieve, come hanno malignato in questi giorni gli avversari e gli ex amici di partito, il taglieggiatore politico arroccato sulla sua rendita di posizione, l’opposto del conquistatore.

Alla guida di un partito che si chiama Italia Viva, a collezionare le nature morte di un sistema politico franato. La sera di lunedì 16 settembre con un post su facebook Matteo Renzi, 45 anni a gennaio, ex sindaco di Firenze, ex segretario del Pd, ex presidente del Consiglio, ha annunciato che da lì a qualche ora avrebbe compiuto il suo addio al Partito democratico, formalizzato poi con un’intervista a Repubblica, e ha usato un verso tratto da una poesia di Robert Frost, lo stesso della Camelot di John Kennedy: «Due strade divergevano in un bosco, ed io – Io presi quella meno battuta». Non è la prima volta, Renzi utilizzò la stessa metafora il 13 febbraio di cinque anni fa, all’atto di dare il benservito a Enrico Letta da Palazzo Chigi per prenderne il posto.

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