Draghi all’ultimo spettacolo. Dopo la Bce l’Italia lo aspetta

Rodolfo Parietti

Se Mark Twain fosse ancora in vita, forse cambierebbe il fulminante aforisma sui banchieri, quelli che «ti prestano l’ombrello quando c’è il sole, e lo rivogliono indietro quando inizia a piovere».

Mario Draghi si è comportato infatti in modo opposto. Ha aperto il parapioggia quando diluviava, per offrire protezione a tutti. E non l’ha ancora richiuso, neppure adesso che si appresta a guidare per l’ultima volta da presidente la riunione di oggi della Bce.

Otto anni turbolenti sono passati dalla sua nomina, maturata nel giugno del 2011, con il governo Berlusconi. Otto anni contrappuntati da un doppio tsunami finanziario culminato con la crisi del debito sovrano, inveleniti nella parte terminale del suo mandato da polemiche arroventate sulla modalità di gestione dell’Eurotower. Per molti, decisamente meglio l’accondiscendenza spacciata per collegialità nelle decisioni di Wim Duisenberg e di Jean-Claude Trichet, i suoi predecessori, piuttosto che la tendenza accentratrice di Draghi, quell’applicare perfino all’interno del board una fra le frasi che più svelano il carattere dell’uomo: «Non annunciamo cosa potremmo o vorremmo fare, annunciamo quello che abbiamo fatto».

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