Dall’Umbria un segnale chiaro — ma con conseguenze incerte
Il tentativo di trasferire la nuova alleanza sul piano locale è stato, per forza di cose, affrettato e in qualche modo improvvisato, disorientando una parte consistente dell’elettorato. Bisognava capire quanto i calcoli sbagliati di Salvini sulla possibilità di andare alle urne in piena estate avessero eroso la sua immagine e, di riflesso, i consensi leghisti; oppure se la sua linea anti-migranti avrebbe continuato a favorirlo comunque. Il responso è che Salvini continua a interpretare le pulsioni profonde di una parte importante dell’Italia.
Quanto al Pd, c’era da capire come fosse stata digerita l’alleanza col Movimento di Luigi Di Maio e la scissione di Matteo Renzi; e soprattutto se i seguaci di Beppe Grillo avessero accettato il sodalizio con Zingaretti. E qui l’analisi diventa frustrante per entrambi. Il M5S doveva verificare in Umbria le sue possibilità di ripresa dopo il disastro alle Europee di maggio. La risposta in miniatura che arriva da questa parte dell’Italia centrale conferma una crisi di voti e di identità dai contorni strutturali: anche se bisognerà fare la tara a conclusioni affrettate, si delinea una disfatta.
Quella di ieri è stata una consultazione locale con un’indubbia eco nazionale, alla quale hanno contribuito governo e opposizione. Ma sarebbe una forzatura ridurne l’importanza, se non altro come linea di tendenza della quale prendere atto. Trasmette l’istantanea di un Paese dove gli interessi si sono frantumati e radicalizzati. E i contenitori dei partiti tradizionali, ma anche di alcuni di quelli nuovi, risentono di una difficoltà crescente a rappresentarli come in passato. Al momento sembra trarne vantaggio la destra della Lega non più solo padana e dei Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, con un berlusconismo in affanno e con la proposta di soluzioni semplicistiche di fronte a emergenze dai contorni irrisolti.
È una tendenza destinata a durare? Può darsi, sebbene appena un anno e mezzo fa l’Italia apparisse affascinata dai Cinque Stelle, mentre adesso sembra voltargli le spalle, delusa. Oggi il M5S si ritrova alle prese con un calo di voti e con conflitti interni destinati a crescere a ogni sconfitta. Su questo sfondo, è difficile prevedere se e quanto la «sindrome umbra» corroderà l’alleanza di governo e l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Intanto, la sconfitta affonda l’ipotesi di estendere a città e regioni accordi futuri con la sinistra: l’esperimento è già morto. E in parallelo si inasprisce lo scontento dei Cinque Stelle contro Di Maio. A oggi il predestinato degli attacchi appare lui, nonostante si vedano pochi capi grillini in grado di invertire la tendenza negativa. Ma c’è da chiedersi se un grillismo già lacerato sarà in grado di reggere l’ultima onda d’urto senza spaccarsi. A meno che nel Movimento si cerchi il capro espiatorio a Palazzo Chigi, accusando il premier di perseguire un’alleanza priva di futuro con un Pd svantaggiato in Umbria: sia per gli scandali sia per la defezione dei renziani. Ma il dilemma, a questo punto, riguarda lo stesso Pd, alleato con una forza che sembra in caduta libera.
Il problema è che alternative a breve se ne vedono poche. Dalle urne di ieri spunta solo un Salvini con l’aria soddisfatta di chi si è preso una rivincita sugli ex alleati. E coltiva con più ferocia e determinazione di prima il sogno di una spallata contro Conte. Ma il capo della Lega sa che la spallata arriverà semmai dall’interno della maggioranza o da fattori esterni, magari internazionali, non da lui. Per questo Le conseguenze di medio e lungo periodo sono ancora tutte da decifrare. E la ricaduta finale rimane incerta.
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