Borghi, selfie e strette di mano: così Salvini ci mette il fisico (molto più degli avversari)

La differenza è tutta qui, e se la distanza tra le piazzette piene dei piccoli centri e le piazze deserte dei capoluoghi non verrà colmata, o almeno ridotta, difficilmente la sinistra dimostrerà di essersi ripresa dal suo torpore, dalla sua pigrizia, dalla sua sbalorditiva mancanza di convinzioni. Salvini ci mette il fisico, occupa i territori, tocca e si lascia toccare, stringe mani, moltiplica il rito del selfie con la gente che si mette in coda per farsi fotografare con il leader, chiama per nome le persone, esalta i prodotti locali, indossa le felpe con i nomi della miriade di cittadine, villaggi, piccoli comuni, minuscoli agglomerati di cui è disseminata l’Italia. Gli altri pensano di cavarsela solo con generose comparsate nei salotti televisive e facendosi intervistare dai giornali. Oppure facendosi immortalare in foto di gruppo dal sapore spettrale, giusto il tempo di uno scatto frettoloso e poi via. E perdono. Anche Salvini sta sempre in tv, ma sta sempre anche in piazza. E vince.

Il trionfo umbro della Lega disintegra anni di comoda e presuntuosa narrazione post-moderna della comunicazione politica. Sancisce il primato della fisicità sull’immaterialità, della territorialità sull’ubiquità virtuale, del radicamento sulla vaghezza incolore di chi stenta a riconoscersi in qualsiasi comunità radicata e anche, forse, della provincia sulla metropoli, della periferia sul centro, della marginalità invisibile sui segmenti sociali ed esistenziali illuminati dal massimo della visibilità mediatica e gratificati dal massino della centralità culturale. Un tempo c’erano i partiti che occupavano ogni lembo del territorio, promuovevano socialità, erano punto di riferimento, rendevano fluido e pieno di parole lo scambio di opinioni, idee, sentimenti e risentimenti di un popolo che aveva sedi e opportunità per parlare, protestare, dire la sua, litigare, giocare, condividere esperienze in una dimensione comunitaria in cui la politica era vissuta come un pane quotidiano, non solo alla vigilia di elezioni e non solo guardando la tv o assistendo alle risse sui social. I leader erano importanti, certo, ma contava la quotidianità, quella che Giuseppe De Rita chiamerebbe l’orizzontalità. Oggi tutto questo è stato cancellato. La politica si svolge in sedi lontane. I corpi non si toccano. E anche questo favorisce la solitudine di massa, l’aggrapparsi a una tastiera come unico momento di scambio sociale (social, si dice). La fisicità di Salvini riempie questo vuoto. Il suo girare per piazze e piazzette ricrea l’atmosfera di un riconoscimento pubblico per realtà provinciali e piccolissime che ridiventano nuovamente centrali e significative.

Certo che poi c’è la compulsività della tribuna di Twitter e di Facebook a condizionare un leader narciso che fa di tutto per rafforzare le campagne di autopromozione. Ma mentre per gli altri leader il contatto con l’elettorato resta esclusivamente nella bolla di ciò che appare sui media, Salvini miete consensi nei luoghi più sperduti. Lui va nei capannoni in dismissione dove il lavoro scarseggia, gli altri si fanno fotografare mentre fanno due palleggi con l’industriale di successo. Forse è il caso che la sinistra prepari qualche valigia per rimettersi in viaggio, ritrovare luoghi smarriti, frequentare mondi perduti e che pure sono la spina dorsale di una società abbandonata a se stessa. E la smetta di inseguire false piste, come se davvero la propaganda dei social fosse più importante della quasi maniacale presenza fisica di chi sta per compiere in Emilia-Romagna lo stesso tragitto che lo ha visto trionfare in Umbria, paese dopo paese, cittadina dopo cittadina, piazza dopo piazza. Lamentarsi, dopo, è troppo tardi.

CORRIERE.IT

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