Ex Ilva, vertice di tre ore da Conte. Arcelor Mittal avvia il ritiro dall’Italia
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di Michelangelo Borrillo
All’incontro a Palazzo Chigi erano presenti, oltre al premier Conte, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, dell’Economia Roberto Gualtieri, del Sud Giuseppe Provenzano, della Salute Roberto Speranza e delle Politiche agricole Teresa Bellanova. A rappresentare Arcelor Mittal il presidente e ceo Lakshmi Mittal e il chief financial officer Aditya Mittal. Da entrambi i fronti ufficialmente si era percepita la linea dura. Conte parla della necessità di tutelare «la continuità degli investimenti produttivi» e «il rispetto del livello occupazionale». la crisi dell’impianto
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Arcelor Mittal sta già smobilitando le attività nell’impianto ma la decisione della famiglia azionista di recarsi a Roma simboleggia la volontà di un’ultima mediazione, dopo una gara infinita a colpi di rialzi, investimenti già realizzati e il corollario di aver già ceduto sette impianti in Europa alla Liberty Steel come condizione chiesta dall’Antitrust Ue. A patto però di vedersi ripristinata l’immunità e non vederla sparire all’ultimo in Parlamento. La decisione di recedere dal contratto di affitto d’altronde mette a rischio 10.700 dipendenti, oltre ai 4mila in cassa integrazione che sarebbero potuti rientrare una volta completati gli investimenti di riconversione ambientale. Cioè nel 2023. lo stabilimento
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Patuanelli ha accusato gli acquirenti dell’Ilva «di aver deciso di andarsene ancora prima della ristrutturazione» ma «si può valutare l’inserimento di una norma che espliciti il principio già presente nel nostro ordinamento. Perché l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica della pubblica Autorità esclude la punibilità». Il leader Cgil Maurizio Landini, insieme con Cisl e Uil, chiede però di rimettere lo scudo penale, «ma senza riaprire il piano industriale». Matteo Renzi e Nicola Zingaretti appoggiano una retromarcia sullo scudo, «con un emendamento al decreto fiscale». E se la Lega in Senato attacca con cartelli di «vergogna!»Matteo Salvini non esclude i suoi voti in caso di «decreto che tutela Ilva». Più di qualcuno nota però le difficoltà di riconversione degli altoforni 2 e 4. Che necessitano di manutenzioni ricorrenti non immaginabili al momento della stesura del piano che prevede un break even con una produzione di 6 milioni di tonnellate annue, al momento ferme sulle 4-4,5 milioni. E anche lo smaltimento dei gas delle centrali termoelettriche non avviene come si sperava.
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