Governo, la fase nuova è invecchiata in 48 ore
Poi, la reazione di Matteo Renzi. Che avrebbe potuto scegliere due strade: limitarsi, anche in questo caso, alla fiducia nella magistratura oppure rilanciare. Sceglie la seconda, in perfetto stile berlusconiano: evoca la persecuzione da parte dei giudici che sono gli stessi che arrestarono i genitori, il “massacro mediatico” (manca solo “l’orologeria” per completare l’amarcord). E accetta il terreno della “commissione”, dove chiederà di indagare sul rapporto finanziario tra la Casaleggio associati e il Movimento Cinque stelle. Ecco, in questa storia c’è tutto: lo snaturamento di strumento “eccezionale”, come una commissione di inchiesta parlamentare, utilizzato nella storia della Repubblica in casi rari e delicati, trasformato, come accadde sule banche, nel set di una campagna anti-politica dal sapore elettorale; due partner dello stesso governo che si comportano come stessero uno all’opposizione dell’altro, senza valutare le conseguenze in termini di stabilità e coesione della maggioranza; l’idea condivisa che, in definitiva, il processo mediatico è più importante di quello reale. È logica del “a brigante, brigante e mezzo” o, se preferite “a commissione, commissione e mezzo”, senza che nessuno si ponga il problema di come i due “briganti” – per stare al detto – possano governare assieme il paese, mentre cercano prove dell’opacità politica altrui in materia di finanziamenti.
Ecco, proprio questo è il punto. Altro che rumba. Parliamoci chiaro: ci fosse un “baricentro politico” forte tra Pd e Cinque stelle, il ballo sarebbe gestibile. Ma è esattamente l’opposto. L’idea di una commissione è proprio il modo per evitare che questa maggioranza abbia un baricentro, in un gioco simmetrico tra “i soliti sospetti”, Renzi e Di Maio, entrambi impegnati ad impedire la trasformazione di questa maggioranza in una “maggioranza politica”. E che adesso si ritrovano su terreno perfetto, come nemici perfetti, nel momento perfetto: l’uno alfiere contro il giustizialismo pentastellato, l’altro alfiere dell’“onestà onestà” contro un avversario che è un usato sicuro, in termini di consenso. Non a caso il Pd tace, limitandosi a esprimere fiducia nell’operato della magistratura.
Terreno perfetto, dicevamo. Come perfetto è quello della prescrizione, su cui Di Maio ha trascinato Conte a difesa delle norme Bonafede, impotabili per il Pd, perché, come nel caso della commissione d’inchiesta, anche qui non ce n’è uno solo dei Cinque stelle che può mettere in discussione la linea. Insomma, la dinamica è piuttosto chiara. Il capo politico dei Cinque stelle, dopo lo strappo sulle regionali, ha iniziato a gettare benzina sui tanti focolai di divisione col suo partner di maggioranza. Dimostrando che la sua leadership forse è meno ammaccata di come tutti dicono. È un dubbio che serpeggia anche al Nazareno. Solo tre giorni fa Grillo aveva parlato di una fase storica nuova, a partire dall’alleanza col Pd. Tre giorni dopo Di Maio, dopo aver lavorato alacremente per far perdere il Pd in Emilia, riparla anche di “contratto di governo”, discussione superata ad agosto e tornata attuale.
In parecchi pensano che, in fondo, il vero disegno di Di Maio sia il ritorno al voto, subito dopo la manovra, forte di un asse con Di Battista, per liberarsi di un assetto che ha subito sin dall’inizio. E che ci sia una spinta “sistemica” per tornarci prima che diventi operativa la riforma del taglio dei parlamentari. Il che significa che bisognerebbe sciogliere entro il 12 gennaio, a tre mesi dalla pubblicazione in gazzetta della riforma, non essendo stato richiesto un referendum confermativo. La verità è che proprio l’assenza del voto all’orizzonte invece giustifica questa nuova aggressività. Come accadeva ai tempi del governo gialloverde: c’è uno che tira schiaffi e un altro che in nome della stabilità porge l’altra guancia, sia pur con maggiore “responsabilità”. Il tema è fino a quando. Ma questa domanda, al momento, non ha risposta.
L’HUFFPOST
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